Il comitato scientifico della Clinica Fornaca s’è occupato del carcinoma prostatico in un incontro con il professor Muto, il dottor Faletti e il dottor Giacobbe.
«Ogni anno in Piemonte vengono diagnosticati 4000 nuovi tumori alla prostata. Più cresce la possibilità di eseguire una diagnosi precoce e più si avvicina il giorno in cui lo stesso tumore potrà essere trattato localmente: la prostata è infatti rimasto l’unico organo che, in caso di tumore solido, va trattato o tolto per intero». Sono la premessa e la conclusione dell’intervento che il professor Giovanni Muto, urologo della Clinica Fornaca e direttore dell’Urologia dell’ospedale San Giovanni Bosco di Torino, ha tenuto mercoledì 25 maggio di fronte al Comitato scientifico della Clinica, riunito per parlare dei “Progressi nella diagnosi e nel trattamento del carcinoma prostatico”. Assieme al professor Muto c’erano il dottor Riccardo Faletti, radiologo della Clinica Fornaca e della Città della salute e della scienza di Torino e il dottor Alessandro Giacobbe, urologo della Clinica Fornaca e dirigente medico dell’Urologia dell’ospedale San Giovanni Bosco di Torino.
A introdurre l’incontro ha provveduto il professor Salvatore Rocca Rossetti che, prima di ricordare le cifre legate al tema della riunione («Il tumore della prostata è il più frequente tra gli uomini del mondo occidentale e rappresenta il 25 per cento del totale»), ne ha ripercorso la storia partendo da molto lontano: «Mi sono laureato il 19 luglio del 1950 e allora conoscevamo giusto la differenza tra carcinoma e iperplasia prostatica – ha ricordato -. La diagnosi era affidata al dito esploratore che doveva capire e diagnosticare». Dopodiché anche i rimedi («Che potevano essere la castrazione o gli estrogeni», ha rammentato il professor Rocca Rossetti) erano figli del tempo, così come le biopsie («Che risultavano dolorosissime e inefficienti»).
Un altro mondo rispetto agli strumenti e alle cure oggi disponibili. «La Risonanza magnetica è sempre più in grado di rappresentare la metodica di imaging ideale – ha ricordato in proposito il dottor Faletti -. Garantisce maggiori specificità, accuratezza diagnostica e valori predittivi positivi. Insieme con l’esperienza del radiologo è finalizzata alla confezione di un referto che rappresenti per l’urologo lo strumento ideale per decidere come approcciarsi alla malattia». Affermazione confermata dal dottor Giacobbe: «L’esperienza del radiologo e del clinico sono fondamentali per l’ottenimento di buoni risultati – ha sottolineato -, com’è stato ribadito a San Diego a inizio maggio nel corso dell’annuale congresso dell’Associazione americana urologi». La Risonanza magnetica aiuta l’urologo a evitare biopsie inutili per effettuarne invece di mirate attraverso l’individuazione di una zona sospetta: «Eseguire una biopsia prostatica mirata direttamente all’interno dello scanner risulta ancora troppo costoso — ha proseguito il dottor Giacobbe -. Ecco allora che si procede con i prelievi bioptici sotto guida ecografica o, come avviene da qualche anno anche alla Clinica Fornaca, con la fusione di immagini: quelle della Risonanza magnetica vengono fuse con quelle dell’ecografia per dirci con esattezza dove si trova la lesione». L’apparecchiatura disponibile in Fornaca conta su tre software differenti: il primo ricostruisce la prostata in tre dimensioni, il secondo fonde le immagini e il terzo salva la mappa dei prelievi cosicché, alla Risonanza magnetica successiva, si saprà con precisione dov’è stata eseguita la precedente biopsia.
Il professor Giovanni Muto, dal 2003 membro della Commissione nazionale per la Ricerca del ministero della Salute, ha annunciato di fare parte del tavolo di lavoro che sta curando le linee guida destinate a estendere la possibilità di test multigenici basati su DNA (diagnosi) e RNA (prognosi) per i tumori di prostata e mammella. E ha menzionato test sierici (“4k Score” e “PSMA”) oggi in uso all’estero che vanno oltre la tradizionale classificazione del “Gleason Score” o di altre più recenti che racchiudono in cinque classi di rischio il paziente prostatico. Sono queste classificazioni a determinare la modalità in cui lo stesso paziente rientra nella cosiddetta “Sorveglianza attiva” che lo monitora attraverso controlli periodici destinati a ritardare l’intervento radicale. «Oggi è proprio la Risonanza magnetica ad aprirci un mondo di possibilità – ha concluso il professor Muto, oltre 20.000 interventi urologici all’attivo -: se riuscisse a farci diagnosticare i tumori più aggressivi otterremo una grande conquista. Oggi per salvare una vita ci sono 1410 persone che si sottopongono allo screening e 48 che vengono trattate senza che ce ne sia bisogno. Migliorare la diagnosi è il compito importante che ci aspetta nei prossimi anni e che ci avvicinerà a trattare localmente anche il tumore della prostata».