Prostata: ai “Martedì Salute” il professor Paolo Gontero e il professor Massimo Aglietta hanno parlato di prevenzione, diagnosi precoce e percorsi di cura del carcinoma.
“La prostata: una piccola ghiandola, un grande problema”. Ne hanno parlato il 7 marzo ai Martedì Salute due medici della Clinica Fornaca: il professor Paolo Gontero, direttore dell’Urologia della Città della Salute e della Scienza di Torino e il professor Massimo Aglietta, ordinario di Oncologia medica dell’Università di Torino e direttore della Divisione universitaria di Oncologia medica dell’Istituto per la ricerca sul cancro di Candiolo.
Se prostatite e ipertrofia prostatica rappresentano due patologie molto diffuse (la prima colpisce almeno una volta nella vita un uomo su due, la seconda interessa l’80 per cento degli uomini di età superiore ai 50 anni) e fastidiose («La prostatite è un processo infiammatorio che tende con facilità alla cronicizzazione, l’ipertrofia prostatica causa problemi alla minzione e costringe spesso all’intervento chirurgico», ha sottolineato il professor Gontero), è il carcinoma della prostata a rappresentare le preoccupazioni maggiori. Perché in un anno conta in Piemonte 200 nuovi casi ogni 100mila abitanti e perché, come ha osservato il professor Aglietta: «La mortalità del tumore alla prostata è pari al 10 per cento della sua incidenza».
«La gravità del carcinoma non è direttamente proporzionale all’entità dei sintomi – ha ricordato il professor Gontero -. Le sue cause possono essere legate a fattori ambientali quali fumo, cattiva alimentazione o scarsa attività fisica, ma anche a situazioni di familiarità o casualità sulle quali il paziente può incidere ben poco». Per riconoscerlo è sempre prezioso un esame del PSA: «E’ ancora il miglior marcatore tumorale esistente, al netto dei falsi positivi o negativi che possono essere favoriti da altre malattie prostatiche del paziente», ha aggiunto il professor Gontero. Che ha indicato nella Risonanza magnetica (e nelle tecniche di fusione come la Fusion Biopsy) l’esame più affidabile per diagnosticare la malattia nella sua fase iniziale e curarla subito nella maniera più adatta. Che varia a seconda dell’aggressività del tumore e delle condizioni del paziente: «In certi casi sono sufficienti semplici viste di controllo, in altri è necessario ricorrere a terapie tempestive e mutimodali che possono chiamare in causa chirurgia, radioterapia e terapia medica», ha spiegato il professor Gontero.
«Il compito dell’oncologo è quello di controllare la malattia in fase avanzata – ha proseguito il professor Aglietta -. Occorre definire assieme al paziente un percorso che durerà anni e inciderà in modo importante sulla sua qualità di vita, ecco perché è importante che ogni scelta risulti condivisa». La terapia ormonale riduce il livello di testosterone nel sangue e perciò rallenta la crescita del tumore: nell’80-85 per cento dei casi controlla la malattia, ma presenta possibili effetti collaterali (mancanza di libido, impotenza, vampate di calore, osteoporosi) piuttosto importanti. La chemioterapia («Spesso associata alla terapia ormonale e in grado di consentire un ulteriore controllo della progressione della malattia», ha specificato il professor Aglietta) utilizza farmaci capaci di eliminare le cellule tumorali ma tra le varie conseguenze produce stanchezza e perdita di capelli («Un problema molto importante e spesso sottovalutato», ha fatto notare il docente di Oncologia medica). Le terapie radiometaboliche permettono infine di controllare la diffusione ossea della malattia.
I due relatori, introdotti dal professor Bruno Frea, hanno concluso con un consiglio («Screening alla prostata? Se non c’è familiarità va bene farlo intorno ai 50 anni») e un’immagine dedicata al paziente affetto da tumore alla prostata e idealmente abbracciato da cinque figure: urologo, oncologo, psicologo, radioterapista e anestesista. Per salutare con uno sguardo rivolto al futuro: «Oggi si stanno testando protocolli di immunoterapia e stanno emergendo terapie molecolari da utilizzare in presenza di alterazioni dei geni preposti ai meccanismi di riparazione del DNA».