«Malattie alcol-correlate? Il genere femminile si ammala in modo più facile, veloce e pesante – spiega il professor Vittorio Gallo -. Colpa dell’assetto ormonale e di un enzima che obbliga il fegato a metabolizzare una quantità d’alcol doppia rispetto a quella dell’uomo».
«Le malattie alcol-correlate legate all’abuso di bevande alcoliche rappresentano una delle maggiori cause di mortalità nei paesi del mondo occidentale. Gli studi epidemiologici degli ultimi anni sottolineano la grande impennata del consumo di alcol tra le donne, condizione che comporta un impatto clinico più rilevante e precoce di quanto accade con gli uomini».
E’ l’allarme rilanciato dal professor Vittorio Gallo, medico della Clinica Fornaca, specialista internista a indirizzo metabolico, epatologico e gastroenterologico, già responsabile del servizio di Epatologia dell’Università di Torino.
Professor Gallo, in tema di malattie alcol-correlate che cosa origina la maggiore vulnerabilità femminile?
«L’alcol viene assorbito dal nostro apparato digerente in maniera incredibilmente veloce, già dal momento in cui arriva alla bocca e quando transita per l’esofago. Viene metabolizzato dopo essere passato prima per lo stomaco e poi per il fegato attraverso un enzima chiamato alcol deidrogenasi che si trova in entrambi gli organi. Lo stomaco del genere maschile ha il doppio di alcol deidrogenasi rispetto a quello femminile ed è per questa ragione che al fegato delle donne arriva il doppio della quantità di alcol da metabolizzare».
E’ quindi tutta colpa del super lavoro che compete al fegato?
«Non solo, è anche per via di un diverso assetto ormonale che il genere femminile si ammala di patologie correlate all’alcol in modo più facile, veloce e pesante. A parità di bevute e di quantità d’alcol ingerita, la donna si ammala prima dell’uomo, soprattutto se è giovane. Il fenomeno del “binge drinking” che consiste in veloci bevute ad alto tasso alcolico può essere molto pericoloso: dalla consuetudine con acqua e spremuta d’arancia al passaggio a gin, vodka, whisky, cocktail e miscelati si producono botte terribili per il fegato, nell’immediato e a distanza di tempo. Vale per le ragazze come per i ragazzi ed è purtroppo frequente assistere all’arrivo in Pronto soccorso di 16/17enni in coma etilico o in una condizione che predispone ai vari peggioramenti delle malattie epatiche da alcol».
Quali sono le risultanze degli studi che hanno messo in evidenza questo problema?
«I numeri sono molto chiari. In Italia, riguardo alle donne i dati più recenti dicono di 13mila alcoliste in trattamento nelle strutture del Servizio sanitario nazionale e di 24mila ricoveri l’anno per cause attribuibili all’alcol. Non solo: sempre rispetto alle donne, sono riconducibili all’alcol il 3 per cento dei decessi totali, il 3 per cento dei decessi da tumore femminile e il 2 per cento dei decessi per cause cardiovascolari. inoltre, il 40 per cento delle donne che muore per cirrosi ha una cirrosi alcolica, mentre il 12 per cento della mortalità femminile negli incidenti stradali è causata ancora dall’alcol. Sono cifre che peraltro non tengono conto di decessi, incidenti e litigi legati all’ebbrezza alcolica. Così come non si ha la misura esatta del totale femminile delle bevitrici, un mondo sommerso dove l’alcol diventa un rifugio e all’interno del quale è molto difficile entrare, persino per il medico specialista».
Esiste una “quantità pericolosa” sotto la quale poter bere senza andare incontro a questo tipo di rischi?
«L’Organizzazione mondiale della sanità ha individuato una soglia al di sopra della quale si entra in zona pericolo. Premesso che le variabili sono numerose e ipotizzando il consumo di un vino da 12-12,5 gradi, la quantità di sicurezza quotidiana per un soggetto sano non dovrebbe superare i 150-200 cc per una donna e i 250-300 cc per un uomo. E’ vero che c’è chi beve molto di più e non lamenta alcun tipo di problema, in quel caso è merito della genetica e di una capacità di metabolizzazione superiore alla media».
Quando è invece assolutamente necessario evitare di bere?
«Il fegato è l’organo centrale che metabolizza l’alcol. Quando c’è una malattia epatica, qualunque essa sia, è bene non bere: ogni bicchiere portato alla bocca equivale a una pistola alla tempia durante una roulette russa».
L’alcol va allora considerato come un nemico?
«No, l’uso dell’alcol non è da condannare. In un soggetto sano che ne fa un uso ragionevole diventa persino uno stile di vita apprezzabile. Il vino, soprattutto quello rosso, ha potenzialità antiossidanti non indifferenti, protegge le arterie, difende dalla formazione di calcoli biliari e facilita anche la digestione. All’interno di un quadro di benessere ha addirittura un ruolo di completamento dell’alimentazione, quindi non va demonizzato ma deve essere sempre assunto con la necessaria moderazione».