Osteoporosi e fratture? Come afferma il professor Giancarlo Isaia: «In pochi minuti si può valutare in modo adeguato la paziente con osteoporosi per capire quanto rischia la frattura di femore o delle vertebre». Affidarsi alla sola densitometria ossea può invece favorire cure inappropriate.
Osteoporosi e rischio di fratture, a calcolarlo ci pensa un algoritmo semplice quanto preciso che contiene età, altezza, peso, fumo, alcol, cortisone, patologie autoimmuni e storia familiare della paziente con osteoporosi. «Raccogliere e incrociare questi dati ci permette di inquadrare in pochi minuti il rischio della paziente di andare incontro a una frattura di femore o vertebrale», spiega il professor Giancarlo Isaia, docente ordinario di Medicina interna, specialista della Clinica Fornaca e responsabile di Geriatria e Malattie metaboliche dell’osso della Città della Salute e della Scienza di Torino. Che aggiunge due importanti precisazioni: «L’algoritmo che valuta il rischio di frattura funziona solo per le donne ed è superfluo per chi ha già riportato una frattura di femore o vertebrale, soggetto a rischio per definizione».
Professor Isaia, cosa rende tanto importante la valutazione del rischio di frattura nel paziente con osteoporosi?
«La possibilità di curare i pazienti in modo più appropriato, fornendo cioè loro i farmaci solo quando è necessario. È una metodica che va molto oltre il semplice dato della densitometria ossea, usato troppo spesso come unico riferimento per la prescrizione di una cura farmacologica. Questo algoritmo ci permette di capire che non sempre chi ha un “T-Score” inferiore al -2,50, punteggio che identifica il paziente osteoporotico, deve ricorrere ai farmaci. L’algoritmo può sensibilmente abbassare il profilo di rischio della paziente ed evitarle cure superflue e perciò inappropriate. È un percorso di cura che alla Clinica Fornaca applichiamo sempre e che ha registrato risultati lusinghieri in termini di interesse e di appropriatezza di cura».
Quando c’è il rischio di curare il paziente in modo inappropriato?
«Il medico deve curare il paziente a rischio di frattura e non deve caricarlo di farmaci inutili quando questo rischio è ridotto: applicare l’algoritmo per la valutazione del rischio renderebbe molto lineare questo passaggio. Invece oggi, in Italia, 80 dei 100 pazienti in trattamento non hanno mai avuto una frattura, mentre appena il 21 per cento di quelli fratturati risultano in trattamento. È un evidente inappropriatezza nella cura, la prima in eccesso e la seconda in difetto: molti pazienti assumono farmaci dei quali non hanno bisogno, altri pazienti che ne avrebbero necessità non li ricevono».
Come deve comportarsi lo specialista?
«Di fronte alla paziente già fratturata o dalla densitometria molto bassa, il medico deve compiere tre semplici passaggi. In primis, escludere che si tratti di un’osteoporosi secondaria, vale a dire frutto di un’altra patologia come ad esempio la celiachia e l’ipertiroidismo e in tal caso provvedere a curare la malattia. Dopodiché, attraverso l’algoritmo, deve identificare il profilo di rischio della paziente e, in caso di frattura precedente, inserirla direttamente tra quelle a rischio. Infine, deve somministrare il farmaco unicamente alla paziente ad alto rischio».
È un quadro molto lineare. Funziona già così?
«Niente affatto. Anzi, ancora oggi abbiamo verificato che è sufficiente un valore di densitometria inferiore al fatidico -2,50 affinché alla paziente venga prescritta una cura. Non tutti i medici sono però sufficientemente preparati a trattare l’osteoporosi in modo adeguato. Eppure i pazienti sono facilmente separabili in due categorie: quelli non fratturati e quelli fratturati. I primi dovrebbero essere di competenza esclusiva del medico di famiglia o, al massimo, del ginecologo che prescrive la densitometria alla donna che va in menopausa. Noi dovremmo invece occuparci esclusivamente dei secondi, prescrivendo loro le cure e i piani terapeutici del caso».
Negli anni il professor Giancarlo Isaia ha coordinato la Commissione intersocietaria per l’osteoporosi, capace di riunire specialisti di geriatria, medicina interna, ortopedia, fisiatria, reumatologia, endocrinologia, medici di famiglia nonché quella della Siommms (Società italiana dell’osteoporosi, del metabolismo minerale e delle malattie dello scheletro) della quale è stato anche presidente per due anni. «Da tempo il Piemonte è tra le regioni capofila nella corretta modalità di cura dell’osteoporosi – conclude -, ma la strada è ancora lunga e la malattia continua a riguardare oltre un milione di pazienti fratturati e a comportare costi enormi, superiori ai sette miliardi di euro l’anno».