Di ernia del disco hanno discusso a “Martedì Salute” il professor Franco Benech, il dottor Carlo Alberto Benech e il dottor Maurizio Berardino, neurochirurghi e anestesista della Clinica Fornaca. «Se farmaci e fisioterapia non funzionano, è bene ricorrere alla chirurgia».
Ernia del disco: fonte di dolore, caratteristico e molto forte, che riguarda un’elevata percentuale di persone. Ne hanno parlato al “Martedì Salute” del 6 marzo il professor Franco Benech, neurochirurgo della Clinica Fornaca; il dottor Carlo Alberto Benech, neurochirurgo della Clinica Fornaca e responsabile di Chirurgia vertebrale III di Humanitas Cellini e il dottor Maurizio Berardino, anestesista della Clinica Fornaca nel corso dell’incontro su “Il trattamento dell’ernia discale” che s’è tenuto alla GAM, Galleria d’Arte Moderna di Torino.
Il professor Franco Benech s’è soffermato su diagnosi e trattamento delle ernie discali cervicali partendo dai numeri: «Le ernie cervicali interessano sei uomini su 100mila e 4 donne su 100mila – ha premesso -. L’ernia cervicale molle si presenta con maggiore frequenza tra i 45 e 54 anni di età, mentre la spondilo-disco-artrosi è più legata alla fascia tra i 50 e i 55 anni». Che cos’è l’ernia discale? «Una fuoriuscita posteriore del nucleo polposo attraverso una lacerazione dell’anulus fibroso, con compressione di uno o più radici nervose e/o del midollo», ha spiegato il professor Franco Benech –. Può essere causata da usura e degenerazione del disco o da traumi cervicali con classico colpo di frusta.
L’ernia cervicale può essere mediana (radicolopatia), intraforaminale (mielopatia) o extraforaminale (radicolopatia e mielopatia). Il trattamento può essere conservativo (farmacologico o fisioterapico) o chirurgico quando il dolore persiste, il deficit motorio radicolare è presente assieme a una sofferenza delle vie lunghe. L’intervento chirurgico è la cosiddetta discectomia: asportazione del disco intervertebrale e inserimento di un “case” (disco artificiale in titanio). «Risolve il conflitto – ha precisato il professor Benech – attraverso un’incisione di 4-5 centimetri sulla parte sinistra del collo. Il paziente viene già dimesso nella prima giornata dopo controllo radiografico e avviato alla adeguata riabilitazione». L’intervento è oggi possibile anche attraverso il sistema DTrax: una procedura che prevede la stabilizzazione posteriore attraverso un intervento di venti minuti che garantisce recupero rapido e un impatto estetico ridotto. Il professor Franco Benech ha concluso ricordando che non necessariamente la patologia discale incide sulla Qualità di vita del paziente ma che: «Se dopo ginnastica e terapie conservative varie, non si trova una soluzione, è meglio non perdere tempo e affidarsi subito a chi è competente».
Di ernie discali lombari ha parlato il dottor Carlo Alberto Benech: «L’ernia del disco è la fuoriuscita del nucleo polposo da anello fibroso – ha esordito -. L’86 degli italiani ha un’ernia del disco e il 50 per cento di loro guarisce spontaneamente e senza chirurgia». Il dolore invalidante e un deficit motorio collegabile alla difficoltà di movimento di piede o coscia («Non si muovono più bene perché non arriva loro la forza») sono i sintomi più evidenti della presenza di un’ernia discale lombare. Il dottor Carlo Alberto Benech ha quindi spazzato il campo da un luogo comune («È impossibile rimanere paralizzati durante l’intervento perché non c’è midollo spinale nell’ernia discale») e precisato che le ernie discali recidivano nel 3-6 per cento dei casi.
Il dottor Benech s’è quindi soffermato sull’ernia intraforaminale: «Rimuoverla produce instabilità e può condurre a recidive o ad altri problemi – ha sottolineato -. Ecco perché è opportuno stabilizzarla con un trattamento chirurgico che può anche essere eseguito attraverso tecniche mininvasive». Di fronte a un paziente con ernia del disco, il dottor Carlo Alberto Benech ha infine ricordato quali sono i passaggi che deve compiere uno specialista: valutare la corretta igiene posturale e controllare il peso, stabilire un’Indicazione chirurgica corretta e selezione del paziente, decidete la migliore tempistica d’intervento, avviare un corretto e precoce programma di riabilitazione.
Una volta in sala operatoria, qual è il ruolo dell’anestesista? «A noi tocca inquadrare il paziente: capire come reagirà all’intervento chirurgico e riferirlo al chirurgo – ha spiegato il dottor Maurizio Berardino -. In ogni caso, l’anestesista tratta il dolore acuto da infiammazione radicolare, si occupa della preparazione e conduzione dell’anestesia dell’intervento, gestisce l’analgesia post operatoria e si fa carico di diagnosi e trattamento del dolore cronico». Il dottor Berardino ha risposto a una serie di domande comuni che riguardano la sua specialità: «Quanto è rischiosa l’anestesia? Assai meno che prendere l’auto per raggiungere il luogo del nostro incontro di stamattina – ha affermato -. Anestesia generale o periferica? Non esistono prove che la seconda funzioni meglio della prima in termini di tollerabilità e rischio. Gli antinfiammatori sono pericolosi per stomaco, cuore e reni? Il medico sceglie il più adatto, ma un ciclo di sue settimane non può sviluppare chissà quali danni».
Detto che il post operatorio va gestito con un’analgesia multimodale capace di sfruttare il lavoro congiunto di antinfiammatori e analgesici per ridurre il dolore, il dottor Berardino ha concluso parlando del dolore cronico: «Lo sperimenta il 20-30 per cento della popolazione occidentale. È quello che dura oltre sei mesi e diventa una malattia. L’algologo deve capire la causa e la tipologia del dolore e impostate una strategia di cura con farmaci diversi, al cospetto dei quali anche riabilitazione e supporto psicologico possono risultare di grosso aiuto».