È stato l’argomento discusso nell’incontro del Comitato scientifico della Clinica Fornaca che ha visto gli interventi del professor Carlo Campagnoli, specialista di Ginecologia endocrinologica e del professor Flavio Quaglia, ortopedico e direttore del Centro Sp.Or.T.S.
In condizioni di carenza nutrizionale e di relativo deficit energetico, anche lo sport può ribaltare in rischi i benefici che in genere comporta. È, in estrema sintesi, quanto hanno affermato lo scorso 17 ottobre durante l’incontro promosso dal Comitato scientifico della Clinica Fornaca il professor Carlo Campagnoli, specialista di Ginecologia endocrinologica della Fornaca e il professor Flavio Quaglia, ortopedico e direttore del Centro Sp.Or.T.S. (Specialistico ortopedia e di traumatologia sportiva) della Clinica.
Dopo l’introduzione della dottoressa Maria Teresa Cammarota, presidente del Comitato scientifico della Clinica Fornaca che ha anche ricordato la figura del dottor Luigi Parigi, la parola è passata ai due specialisti. Il professor Campagnoli ha affermato: «Le attività ginnico-sportive sono favorevoli per assetto metabolico, apparato cardiovascolare e tessuto osseo. Tuttavia, in carenza nutrizionale, i benefici si trasformano in rischi soprattutto per apparato cardiovascolare e tessuto osseo nonché per la fertilità, soprattutto tra le donne. Il DCA (Disturbo comportamentale alimentare) riguarda in special modo le ragazze e, tra loro, circa il 40 per cento risulta a rischio anoressia».
L’amenorrea (scomparsa delle mestruazioni) può rappresentare un segnale precoce del patimento dell’organismo e il professor Campagnoli lo ha dimostrato presentando i risultati di uno studio realizzato sulle performance di dieci nuotatrici di livello di 15-17 anni nell’arco di dodici settimane: chi ha mantenuto le mestruazioni ha registrato un miglioramento delle performance sportive pari all’8,2 per cento, mentre chi era andato incontro ad amenorrea ha accusato un calo del 9,8 per cento. Amenorrea che nelle atlete si presenta con una certa frequenza: «Riguarda il 5 per cento delle non atlete – ha puntualizzato il professor Campagnoli – ma il 25-50 per cento delle atlete e, addirittura, il 65-70 per cento di danzatrici e runner sulle lunghe distanze». La cosiddetta “triade delle atlete”, vale a dire: carenza nutrizionale, amenorrea ipotalamica e osteoporosi risulta particolarmente rilevante in chi ha meno di 25 anni: «Tra loro il numero di fratture risulta molto più elevato», ha concluso il professor Carlo Campagnoli.
Di fratture da stress ha parlato il professor Quaglia: «Pur presentando un’incidenza non trascurabile negli sportivi, specialmente di sesso femminile – ha osservato -, queste fratture sono difficili da diagnosticare e talvolta vengono curate a distanza di tempo dalla comparsa o addirittura non vengono trattate poiché misconosciute». Interessano il 2-30 per cento degli sportivi e il 16 per cento dei runner, nell’80 per cento dei casi riguardano gli arti inferiori. «È più che mai indispensabile un corretto approccio sia clinico sia strumentale per una diagnosi differenziale con altre patologie e per una gradazione del rischio che varia a seconda del segmento scheletrico interessato – ha proseguito il professor Quaglia -. Tra le tecniche disponibili, la Risonanza magnetica è quella che più precocemente e con maggior accuratezza evidenzia la frattura da stress».
«L’intensità dell’attività risulta tra i fattori favorenti le fratture da stress, idem le superfici di corsa e le calzature. Tra i fattori intrinseci figurano invece l’età, il morfotipo, i disordini alimentari, le alterazioni ormonali e l’osteoporosi», ha aggiunto il professor Quaglia. E se i trattamenti possono richiedere, in caso di basso rischio, sospensione dell’attività sportiva, controllo del dolore, carico moderato, attività aerobica a basso impatto (nuoto, bicicletta) fino alla corsa ridotta e alla ripresa dell’attività, nei casi ad alto rischio si può andare dall’attività in scarico all’immobilizzazione fino all’intervento chirurgico. Come prevenire le fratture da stress? «Valutando in modo adeguato i soggetti a rischio, svolgendo l’analisi del passo, adottando materiali corretti e svolgendo la giusta preparazione – ha concluso il professor Flavio Quaglia -. I cosiddetti “weekend warriors” sono i più a rischio e il loro modo di approcciarsi all’attività sportiva è da sconsigliare».