L’intervento è stato eseguito dal dottor Marco Schiraldi e ha preservato il crociato anteriore e il crociato posteriore del paziente: «Questo tipo di impianto si può utilizzare su ginocchia non eccessivamente deformate e può essere accessibile per circa il 40/50 per cento dei pazienti», spiega l’ortopedico della Clinica Fornaca.
Un impianto di protesi realizzato preservando tutti i legamenti del ginocchio. È l’intervento eseguito nel mese di ottobre dal dottor Marco Schiraldi, ortopedico della Clinica Fornaca e direttore di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale di Alessandria. «La protesizzazione ha preservato tutti i legamenti del ginocchio – spiega il dottor Schiraldi – anche quelli che vengono di norma sacrificati: il crociato anteriore e, più di frequente, il crociato posteriore». Mentre la conservazione del legamento crociato posteriore è un intervento abbastanza comune, la preservazione di entrambi i legamenti in corso di protesizzazione è un evento piuttosto raro. «È oggi possibile grazie allo sviluppo di impianti protesici che sono costruiti proprio per questo scopo e che vantano una geometria molto più simile a quella di un ginocchio normale – aggiunge il dottor Schiraldi -. Il chirurgo deve posizionare l’impianto senza danneggiare questi legamenti. Affinché sia possibile, l’intervento deve per forza avvenire su ginocchia che non siano eccessivamente deformate. Il danneggiamento cartilagineo può anche essere estremo, ma la deformazione, vale a dire la deviazione dall’asse più o meno fisiologico del ginocchio, deve essere abbastanza preservata. Quindi è un intervento indicato solo per le ginocchia che rispondono a questo tipo di caratteristica».
«Oggi i pazienti sono molto attenti anche all’aspetto esteriore e non tollerano più le deformità che una volta tutto sommato accettavano – prosegue il dottor Schiraldi -. È uno dei motivi che stanno ampliando la casistica di questo tipo di intervento, molto richiesto anche perché garantisce un recupero piuttosto celere in quanto la preservazione dei legamenti guida in modo sostanziale la fase riabilitativa». Del resto, la fisiologia articolare dipende proprio dalla preservazione di questi legamenti: «Se non si sono ancora consumati per via del danno articolare, è meglio rimetterli in tensione facendo una sorta di ricopertura dell’area danneggiata – precisa il dottor Schiraldi -. Questo intervento ha inoltre minore impatto chirurgico perché permette di compiere gesti chirurgici meno aggressivi del solito». Viceversa, il sacrificio dei legamenti comporta l’ampliamento dell’impianto: «Deve essere disegnato in modo da vicariare i legamenti rimossi e questa misura aumenta la meccanicità dell’impianto stesso consegnando al paziente quella sensazione di “ginocchio finto” che viene lamentata dal 10-15 per cento dei protesizzati, insoddisfatti dell’impianto ricevuto. Si tratta di un’impressione soggettiva che va oltre la buona riuscita dell’intervento: quest’ultimo viene eseguito in modo corretto, ma l’insoddisfazione dei pazienti deve farci pensare che forse in alcuni casi non dovevano essere operati con la metodica che aveva previsto il sacrificio di strutture sentite dal paziente ancora come sue».
Per far comprendere l’importanza dei legamenti, il dottor Schiraldi suggerisce di pensare all’impatto che può causare la perdita di un crociato in un giovane: «Deve essere ricostruito perché diversamente cominciano a registrarsi spostamenti del centro di rotazione del ginocchio e spostamenti del carico che successivamente danneggeranno i menischi, l’articolazione e la cartilagine«. Ecco perché, laddove esiste una situazione di integrità legamentosa, impiantare una protesi con il sacrificio di uno o entrambi i legamenti crociati può portare a una destabilizzazione della meccanica articolare con un risultato poco soddisfacente per il paziente.
Chi può ricorrere a questo tipo di intervento? »Per stabilirlo – risponde il dottor Schiraldi – occorre un’adeguata analisi pre-operatoria, anche se l’ultima parola spetta all’osservazione intra-operatoria che, In alcune rare circostanze, può suggerirci di non farlo perché il crociato risulta più danneggiato del previsto. L’esame clinico e le analisi pre-operatorie ci permettono comunque di avvicinarci a una diagnosi che nel 90 per cento dei casi ci indica in modo corretto la possibilità di operare. Credo, in ogni caso, che il 40-50 per cento dei pazienti possa accedere a questo tipo di intervento, un quarto d’ora più lungo di quello tradizionale e della durata complessiva di 60/75 minuti».
Il paziente operato in Fornaca dal dottor Schiraldi è un 60enne che, già cinque giorni dopo l’intervento, camminava con estrema naturalezza, alzandosi e sedendosi senza bisogno di appoggi. «Prima dell’intervento aveva una condizione di forte dolore che non gli permetteva più di camminare», precisa il medico. Anche il paziente della Fornaca beneficia così di una protesi particolarmente innovativa per una serie di ragioni: «Il disegno, il numero di taglie, la versatilità che permette al chirurgo di aggiustare l’impianto all’interno dell’articolazione – conclude il dottor Marco Schiraldi -. La storia di questi impianti risale a oltre trent’anni fa, ma al tempo c’erano grossissimi limiti geometrici e di numero di taglie che impedivano all’impianto di diventare l’attuale “vestito su misura”, sempre più vicino alla geometria articolare normale».