«Il contenuto intestinale può influenzare l’esordio di sintomi aspecifici che possono riguardare non solo l’addome, ma anche organi distanti dall’intestino (fegato, polmoni, pancreas, tiroide, cuore e infine il cervello). Curare il colon irritabile con terapie che agiscono sul microbiota può rappresentare la svolta per pazienti che oggi non trovano risposta ai loro sintomi», afferma il dottor Federico Balzola, specialista in Endoscopia digestiva e Gastroenterologia della Clinica Fornaca.
«Mal di pancia, pancia gonfia, difficoltà a digerire: sono solo alcuni tra i tantissimi sintomi che accompagnano un numero enorme di pazienti che non hanno però ancora trovato l’adeguata risposta terapeutica. Gastrocinetici, antibiotici, antispastici, antisecretivi, anti-reflusso: a volte si provano tutti senza successo. La sindrome del colon irritabile colpisce il 10-25 per cento della popolazione mondiale e oltre il 50 per cento delle visite gastroenterologiche riguarda questo problema. Un impatto enorme al quale la medicina tradizionale risponde con difficoltà, favorendo il mercato alternativo e mantenendo costi sanitari elevatissimi anche indiretti quali l’assentarsi dal lavoro». Lo afferma il dottor Federico Balzola, specialista in Endoscopia digestiva e Gastroenterologia della Clinica Fornaca e dirigente medico della Gastro-Epatologia universitaria della Città della Salute e della Scienza di Torino.
Dottor Balzola, quali sono le cause della sindrome del colon irritabile?
«La sindrome del colon irritabile parte da condizioni favorenti certamente genetiche poi influenzate da condizioni ambientali. Su queste ultime stanno arrivando risposte importanti dalla ricerca sull’asse intestino-cervello. Era già emerso in letteratura che, nel 30/40 per cento dei casi, il colon irritabile registrava fenomeni infettivi prima dell’esordio dei sintomi. Oggi è passato il concetto che il contenuto intestinale di batteri (il microbiota) può influenzare l’esordio di questi sintomi aspecifici interessando dall’addome a organi distanti dall’intestino e fino a ora ritenuti non coinvolgibili quali il fegato, i polmoni, il pancreas, la tiroide, il cuore e anche il cervello. Sono recentemente iniziate una serie di valutazioni sulla cura del colon irritabile con terapie che agiscono sul microbiota: antibiotici non assorbibili, probiotici, prebiotici, simbiotici, fino all’impianto di batteri fecali nell’intestino del paziente con sindrome del colon irritabile».
Questa evoluzione è visibile anche dal punto di vista dei sintomi?
«La Malattia di Crohn o la rettocolite che vedevamo una volta in Pronto soccorso erano forme molto più acute, che ci preoccupavano perché il paziente aveva sintomi gravi e difficili da gestire, ma che oggi non vediamo quasi più. Adesso quelle patologie si esprimono assai meno acutamente con sintomi molto più aspecifici: mal di testa, dolenzia/gonfiore addominale ricorrente, dolori articolari, quadri dermatitici e altro. La stragrande maggioranza di queste malattie si esprime in modo più subdolo, più lieve ma cronicamente invalidante».
Quali sono le ragioni di questo cambiamento?
«L’impatto ambientale ha cambiato le cose: negli ultimi sessant’anni l’igiene, gli antibiotici, l’isolamento hanno partecipato tutti insieme alla sconfitta delle malattie infettive, ma dall’altro lato sono aumentate in modo esponenziale le malattie infiammatorie croniche non infettive come la sclerosi multipla, il diabete, l’asma, le malattie infiammatorie intestinali e le malattie autoimmuni. L’ambiente incide anche su un organo che prima non era calcolato come tale: il microbiota, cioè nostro patrimonio di batteri».
Oggi si registra anche un forte aumento di allergie e intolleranze, come mai?
«C’è un cambiamento della barriera intestinale che, a differenza di quanto si credeva un tempo, è assolutamente modulabile e ha la capacità di far passare o non far passare determinate sostanze. Se le normali sostanze presenti nell’intestino (batteri, alimenti, tossine, eccetera) passano la barriera intestinale in quantità aumentate rispetto a ciò che è fisiologico, si possono sviluppare effetti dannosi a livello extra-intestinale. Molte delle malattie infiammatorie croniche originano da questo disturbo di permeabilità della parete e possono influenzare gli altri organi. Se la barriera si altera, per periodi prolungati si innesca un circolo vizioso che determina la cronicizzazione delle malattie indotte».
Come si rapportano microbiota e DNA?
«Il microbiota umano determina un impatto sullo sviluppo del nostro sistema immunitario e sulla espressività del DNA. Si stima che vi sia un chilo e mezzo di batteri nell’intestino, fortemente coinvolti nel nostro metabolismo, nell’espressività dei geni trasmessi dai genitori e nello sviluppo del sistema immunitario. La capacità dell’uomo di far adattare il proprio sistema immune ai batteri che rappresentano l’ambiente in cui viviamo è unica e spiega la nostra capacità più rapida di adattamento all’ambiente rispetto agli altri primati, seppure così geneticamente vicini a noi. È un ecosistema che determina effetti a distanza attraverso “l’allevamento” del sistema immune che in base alle interferenze ambientali dinamiche (cibo, età, infezioni) incide sulla nostra predisposizione infiammatoria e sull’aspettativa di vita. I batteri che abbiamo nell’intestino sono la componente dinamica in grado di interferire con il nostro DNA che è invariabile: i batteri rappresentano le mani che suonano i tasti del pianoforte (il DNA) creando da meravigliose sinfonie a pessime melodie. Ciò dipende da come il microbiota si è sviluppato nei primi 18-20 mesi di vita iniziando dalla vita intrauterina. Nell’intestino si gioca il futuro della nostra salute e del rischio di sviluppo di malattie infiammatorie perché è lì che si creano le condizioni di equilibrio tra batteri e sistema immune sano».
Nasciamo in un certo modo o possiamo “correggerci in corsa”?
«La condizione è fortemente influenzabile nei primi mille giorni di vita, dal concepimento in poi. A seconda di come l’ambiente incide, io posso diventare negli anni successivi un paziente infiammatorio o no. Abbiamo sempre visto patologie infiammatorie (obesità, aterosclerosi, demenza, diabete, malattie reumatologiche) negli anziani: l’ambiente giocava col tempo e le faceva emergere avanti negli anni. Gli attuali repentini cambiamenti ambientali (igiene, alimentazione, farmaci) riducendo la biodiversità del microbiota trasmesso da una generazione all’altra hanno via via spostato l’emersione di queste malattie in età sempre più precoce. Malattie croniche non infettive colpiscono sempre di più i bambini: asma, allergie, malattie infiammatorie intestinali, diabete autoimmune, cardiopatie, oltre ad alcune patologie del comportamento che non vengono ancora classificate infiammatorie come l’autismo, i disturbi dell’apprendimento, l’iperattività, le sindromi ansioso-depressive e infine le psicosi oltre a disordini del comportamento alimentare. Ciò che avviene nei primi mille giorni di vita (tipo di concepimento, di parto, tipo di allattamento, terapie durante la gravidanza o antibiotici nel primo anno di vita) influenzando il microbiota possono giocare un ruolo nello sviluppo di patologie infiammatorie non infettive croniche. La disbiosi è l’alterato rapporto tra batteri benefici e batteri patogeni che in determinate condizioni è in grado di attivare la zonulina, proteina mutata solo nell’uomo e non negli altri primati che rende l’intestino più permeabile. Distinguere tra paziente infiammatorio e non infiammatorio è la vera sfida che ci attende nei prossimi anni».
Agisce sugli organi in crescita come il cervello e se avviene più avanti colpisce la pancia o il pancreas (diabete, malattie infiammatorie croniche, obesità). La disbiosi è il rapporto tra batteri sani e batteri patogeni e attiva la zonulina che rende l’intestino più permeabile. Una volta la malattia coinvolgeva la mucosa e la vedevi, ora è più subdola e interviene nella parte più profonda, che non si vede. Distinguere tra paziente infiammatorio e non infiammatorio è la vera sfida che ci attende nei prossimi anni».