L’evoluzione degli interventi e della tecnologia per la salute dei nostri occhi


Intervista a Michele Reibaldi, specialista in Oculistica della Clinica Fornaca, Professore Ordinario in Oftalmologia e Direttore della Clinica Oculistica della Città della Salute e della Scienza di Torino.

Specializzato in Chirurgia retinica e della cataratta, maculopatie e retinopatia diabetica, Michele Reibaldi ha eseguito il mese scorso alle Molinette un intervento eccezionale e unico al mondo di autotrapianto di cornea, che ha coinvolto anche la sclera e la congiuntiva del paziente, permettendogli di tornare a vedere.

Professor Reibaldi, di che intervento si è trattato?

«Si è trattato – spiega il professor Michele Reibaldi – di un intervento particolarissimo su un uomo affetto da due gravi patologie che lo avevano portato alla cecità: un problema retinico irreversibile sull’occhio sinistro e una rara patologia cicatriziale che ha compromesso la cornea e la superficie oculare anteriore sul destro, causando progressivamente la perdita della vista. Alcuni trapianti di cornea tradizionali fatti da donatore non erano andati a buon fine per la compromissione dell’intera superficie oculare anteriore, per questo abbiamo prelevato dal suo occhio sinistro, compromesso per problemi retinici, non solo la cornea, ma anche sclera e congiuntiva sede delle cellule staminali, trapiantandogli in pratica tutta la parte anteriore dell’occhio. Allo stesso tempo, l’occhio sinistro è stato ricostruito con tessuti da donatore a scopo estetico vista la compromissione irreversibile della vista».

Chi può beneficiare di questo tipo di intervento?

«È un caso straordinario, va precisato – spiega Reibaldi. L’intervento è sicuramente innovativo, speriamo in futuro di poter estendere la sua applicazione a pazienti in condizioni meno particolari, ma al momento questa tecnica è funzionale solo per rari casi con compromissione della parte anteriore dell’occhio».

Quali sono le patologie più comuni di cecità e ipovisione?

«Oggi la maggior parte delle problematiche di ipovisione e cecità sono dovute a malattie retiniche, le più comuni la degenerazione maculare, le distrofie retiniche ereditarie e la retinopatia diabetica, e ancora a problematiche del nervo ottico come glaucoma, atrofie e ischemie. Si tratta di patologie per cui il tipo di intervento che ho descritto non può portare benefici, ma nella maggior parte dei casi esistono altre soluzioni. Per la maculopatia neovascolare, ad esempio, si utilizzano da anni farmaci che rallentano o limitano la progressione della patologia, ma è fondamentale intervenire precocemente, prima che si siano instaurati danni irreversibili. Una notizia molto importante è che, nella forma secca della maculopatia per cui non esisteva alcuna terapia efficace, è stato approvato da poco negli Stati Uniti e tra breve in Europa il primo farmaco che ha lo scopo di limitare la progressione dell’atrofia che in questi pazienti determina la grave compromissione della vista».

Parliamo di innovazione tecnologica in campo oculistico

«Tecnologie e strumentazione hanno fatto passi enormi nel corso degli ultimi anni, anche qui in Clinica Fornaca – afferma il professor Reibaldi. In ambito chirurgico i risultati per l’intervento di cataratta, ma soprattutto per gli interventi di vitrectomia per patologie alla retina, sono sensibilmente migliorati grazie all’evoluzione della tecnologia adottata. La vitrectomia era fino a qualche anno fa un intervento estremamente invasivo, che si eseguiva in casi selezionati, perché le possibili complicanze erano spesso considerevoli. Adesso il profilo di sicurezza dell’intervento è migliorato moltissimo, riusciamo ad operare con strumenti sempre più efficienti anche grazie a sistemi di visualizzazione tridimensionali che consentono ingrandimenti considerevoli della parte da operare. In generale i miglioramenti più evidenti sono stati nelle dimensioni sempre più ridotte degli strumenti, nella loro velocità di taglio e anche nelle fonti luminose necessarie per l’intervento: il risultato è quello di limitare il più possibile la componente infiammatoria e ridurre il traumatismo per le strutture retiniche; tutto questo si traduce in più agevole recupero post operatorio, ma soprattutto in un migliore risultato anatomico e funzionale per i pazienti».