Carcinoma differenziato della tiroide: attualità terapeutiche


Il Carcinoma papillare della tiroide o carcinoma differenziato della tiroide (DTC), noto anche come carcinoma papillare o follicolare della tiroide, è il più diffuso e frequente tra tutti i tumori della tiroide (85% dei casi). Si tratta di una neoplasia maligna che può interessare uno o entrambi i lobi della tiroide, ha una crescita lenta e può creare metastasi ai linfonodi del collo.

Dal 2015 ad oggi sono notevolmente cambiate le strategie terapeutiche nel carcinoma differenziato della tiroide, con un’attenzione maggiore alla qualità di vita del paziente e alla personalizzazione delle cure.

Ne hanno parlato, in occasione del Comitato Scientifico della Clinica Fornaca, il dott. Nicola Palestini, il dott. Riccardo Pellerito e la prof.ssa Emanuela Arvat.

Esistono diversi tipi e sottotipi di carcinoma della tiroide, con diversi gradi di differenziazione, aggressività, rischio di recidiva e quadri clinici, che possono andare da piccoli noduli isolati intra tiroidei, fino a tumori altamente aggressivi e metastatici.

Il Carcinoma papillare della tiroide o carcinoma differenziato della tiroide (DTC), noto anche come carcinoma papillare o follicolare della tiroide, è il più diffuso e frequente tra tutti i tumori della tiroide (85% dei casi). Si tratta di una neoplasia maligna che può interessare uno o entrambi i lobi della tiroide, ha una crescita lenta e può creare metastasi ai linfonodi del collo.

Chirurgia

La chirurgia è la prima linea di terapia, ma con l’aumento dell’incidenza del carcinoma papillare della tiroide è stato necessario cambiare anche le strategie terapeutiche degli ultimi 30 anni. Da un approccio chirurgico con tiroidectomia totale, cioè asportazione completa della tiroide per tutti i tipi di tumore tiroideo, e somministrazione di una dose di iodio radioattivo preliminare, l’American Thyroid Association nel 2015 ha proposto una strategia terapeutica personalizzata basata sul rischio di recidiva di ogni singolo caso, con una maggiore attenzione alla qualità di vita del paziente. Questo, nel 2022, ha portato le reti oncologiche del Piemonte e la Valle d’Aosta a nuovi percorsi clinici e terapeutici, condivisi dalla Società italiana di Endocrinochirurgia, scegliendo di limitare la chirurgia ai tumori di dimensioni non superiori a 2 cm, in pazienti selezionati.

Sorveglianza attiva

La proposta di una strategia terapeutica basata sulla sorveglianza attiva, avviene sulla base di diversi fattori, tra cui l’età e la disponibilità del paziente a seguire un programma di follow up regolare e protratto nel tempo, le dimensioni non superiori a 1 cm del nodulo, l’assenza di metastasi, le probabilità di progressione della malattia (che decresce con l’età). Ma tra la chirurgia e la sorveglianza attiva, oggi sta emergendo una terza proposta di trattamento: la termoablazione percutanea, procedura ampiamente usata nei tumori benigni, che negli ultimi anni è stata sperimentata anche sui micro carcinomi papillari, ma che necessita di ulteriori studi. La tecnica, molto promettente, si basa su radiofrequenze laser o microonde e, al momento, è indicata nel microcarcinoma papillifero circondato da almeno 2 mm di tessuto normale, per consentire la diffusione dell’effetto termico anche al di fuori del nodulo, senza il rischio di ledere le strutture contigue.

Terapia radiometabolica: quando è indicata e a cosa serve

Dopo la chirurgia di tiroidectomia totale o quasi totale, la valutazione del paziente da parte del medico di medicina nucleare è importante per stabilire l’eleggibilità alla terapia radiometabolica. In genere, nel tumore papillare a basso rischio non viene eseguita la terapia radiometabolica a meno di particolari condizioni, come ad esempio, una resezione non completa del tumore, una variante istologica aggressiva, oppure in presenza di metastasi locoregionali o a distanza.

La terapia con radioiodio, quindi, non è indicata nei pazienti con tumori a basso rischio di diametro inferiore a 1-2 cm, né in quelli a rischio intermedio, nei quali è invece possibile, dopo un periodo di follow up e rivalutazione del paziente.

Invece, la terapia con radioiodio è consigliata se sono presenti metastasi diffuse a livello del collo, mentre è sempre prevista nei tumori ad alto rischio, in particolare con metastasi a distanza.

Lo scopo della terapia radiometabolica è sia di eliminare il residuo tiroideo sano per favorire la sorveglianza successiva col dosaggio di tiroxina o con l’ecografia, sia adiuvante, per migliorare la sopravvivenza del paziente libera da malattia, distruggendo anche i residui di patologia microscopica e non evidenziabile agli esami.

Per preparare il paziente alla terapia radiometabolica viene elevato il livello dell’ormone tireostimolante, sospendendo la terapia sostitutiva per circa quattro settimane con la tiroxina, oppure somministrando il TSH ricombinante. Il medico nucleare valuta e modula l’attività di radioiodio da somministrare basandosi sulla dosimetria, ovvero un calcolo preliminare di quale può essere la dose tossica per il midollo e quale la dose efficace. Il vantaggio della dosimetria è predire la risposta del paziente alla terapia e identificare con più precisione i pazienti refrattari (iodiorefrattarietà). La maggior parte dei pazienti tollerano bene la terapia, nonostante siano presenti alcuni effetti collaterali (dolore, nausea e vomito moderati), depressione del midollo osseo fino all’aplasia, ipospermia transitoria, e molto raramente fibrosi polmonare. L’effetto oncogenico del radioiodio, molto temuto, si verifica solo con attività di radioiodio molto alte.

Terapie target per le forme avanzate metastatiche

Nelle forme avanzate di carcinoma della tiroide metastatico, la ricerca ha fatto passi avanti, fornendo al medico endocrinologo nuove armi terapeutiche. La gestione dei pazienti in questa fase di malattia è un equilibrio molto complicato che parte dalla valutazione attenta del quadro clinico, dalla scelta del giusto farmaco e del giusto dosaggio che sia bilanciato tra effetti collaterali e benefici, dalla gestione delle tossicità, e dall’inserire le nuove terapie nell’ambito di terapie multimodali, all’interno di un percorso multidisciplinare. Fondamentale per questi pazienti è il monitoraggio dell’andamento della malattia, con l’ecografia del collo, il dosaggio della tireoglobulina associata agli anticorpi antitireoglobulina, parametri che contribuiscono a determinare anche l’ongoing risk stratification, ovvero una stratificazione del rischio dinamica che ci permette, nel tempo, di far passare i pazienti da una classe di rischio ad un’altra. Questo è fondamentale per poter modulare gli obiettivi della terapia con tiroxina, evitando il rischio e gli effetti negativi di un trattamento non necessario sulla salute globale di questi pazienti.

Nei pazienti con malattia metastatica avanzata che presentano iodiorefrattarietà, non sempre è necessario iniziare un nuovo tipo di terapia. Molte volte la localizzazione, la sintomaticità e l’evoluzione delle metastasi può essere sufficientemente lenta da consentire una sorveglianza attiva oppure terapie locoregionali, se le lesioni in crescita sono poche e localizzate. Quando invece la progressione è diffusa e sintomatica, disponiamo di nuove armi, chiamate terapie target: si tratta di farmaci disegnati sul profilo molecolare del tumore del paziente e, quindi, sono più specifici rispetto ad altre terapie.

Per l’uso di queste terapie, è fondamentale sia il concetto di prehabilitation, ovvero preparare in ogni modo possibile il paziente ad affrontare qualsiasi terapia, chirurgica, medica, chemioterapia, sia intercettare in maniera tempestiva e adeguata gli effetti collaterali e gestirli in maniera ottimale.