Fascite plantare: in cosa consiste, quali le cause e quali le possibili cure?


La fascite plantare è una sindrome dolorosa dovuta ad una patologia inserzionale calcaneale dell’aponeurosi plantare.

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Ne parliamo con i dottori Carmelo Errichiello e Raul Cerlon, Chirurghi Ortopedici specialisti del Centro di Chirurgia del Piede della Clinica Fornaca.

Cos’è la fascite plantare?

La fascite plantare è una sindrome dolorosa dovuta ad una patologia inserzionale calcaneale dell’aponeurosi plantare. L’aponeurosi (o fascia plantare) è una struttura fibrosa sottile, ma molto resistente, localizzata alla pianta del piede, tra il mantello cutaneo e le formazioni profonde. È strutturata in tre porzioni: mediale, centrale e laterale. La parte centrale è la più voluminosa, larga circa 2 cm, ricevendo anche delle fibre dal tendine di Achille, dopo che queste hanno avvolto la tuberosità calcaneale posteriore. In tal modo viene a costituirsi una formazione anatomo-funzionale unica e integrata (descritta da Arandes e Viladot nel 1953 con la definizione di Sistema Achilleo Calcaneo Plantare, SACP). Si stabilisce cioè una sorta di interconnessione morfo-funzionale fra le tre unità (Tendine di Achille, Calcagno e Fascia plantare) con frequente interessamento patologico di tutto il complesso anatomo-strutturale: è questo il motivo per cui frequentemente le patologie del tendine achilleo (degenerazione, brevità costituzionale e altro) si accompagnano a un risentimento della fascia plantare, e viceversa.

Qual è il ruolo della fascia plantare?

Il ruolo funzionale della fascia plantare è sostanzialmente duplice: con soggetto in piedi e fermo sostiene la volta plantare insieme alle altre strutture passive del piede (scheletro e complesso capsulo-legamentoso), mentre in condizioni dinamiche la fascia plantare rimane rilassata nella fase di appoggio in piano del piede, ponendosi in tensione nella fase propulsiva di spinta del passo. Ciò avviene grazie a un meccanismo biomeccanico che Hicks ha descritto come un meccanismo a “verricello”, che agisce orizzontalmente e verticalmente. In pratica, la dorsiflessione delle dita nella fase di spinta provoca una trazione su tutta l’aponeurosi plantare, con “avvicinamento” delle teste metatarsali al calcagno e “sollevamento” della volta plantare.

Questo complesso meccanismo funzionalmente integrato spiega l’importanza della fascia plantare nella dinamica del passo e anche la relativa frequenza con la quale si manifestano patologie a carico di questa struttura.

Secondo la “legge” biologica descritta da Wolff e Delpeche sul rimodellamento osseo, in caso di “pressione” su di una struttura scheletrica, a quel livello si verifica una osteolisi, cioè un riassorbimento osseo. Al contrario, quando vi sia una “trazione” sull’osso da parte di tessuti che su di esso si inseriscono, si ha una neoformazione ossea parallela all’asse di trazione. Questo spiega la formazione di varie neo-produzioni ossee a livello del punto di contatto tra osso e tessuto molle: fascia o tendine o muscolo che sia. Pertanto, la cosiddetta spina calcaneale è la conseguenza e non la causa della pato-biomeccanica del SACP, e la tallodinia (dolore al tallone) non dipende dalla presenza della spina calcaneale, ma dalla patologia della fascia plantare. Per tale motivo, è rarissimo che si debba effettuare una asportazione chirurgica della iperostosi, non essendo essa la causa diretta delle problematiche cliniche. Molto spesso, alla entesopatia fasciale si associa quella del muscolo Adduttore dell’Alluce, che si inserisce sul tubercolo calcaneale mediale. Non rare, peraltro, le borsiti di vicinanza.

La fascite plantare è dunque una sindrome dolorosa inserzionale fasciale calcaneale, accompagnata o meno da osteofitosi reattive pericalcaneali (escrescenze fibro-calcifiche o francamente ossee).

Questa affezione risulta essere la causa più frequente della tallodinia (dolore calcaneale) che colpisce uomini e donne tra i 40 ed i 60 anni, generalmente monolateralmente, più frequentemente nel piede cavo e nei soggetti in sovrappeso o che si dedicano in modo eccessivo ad attività sportive, non adeguatamente allenati. Anche una calzatura inadatta può essere un fattore causale o concausale.

Con quali sintomi si manifesta la fascite plantare?

Il sintomo prevalente è il dolore, che si presenta molto acuto ai primi passi al mattino (per il variare istantaneo della posizione del piede dal letto al carico), scema leggermente durante la giornata e si ripresenta acutamente alla sera. Questo andamento ondulante tipico del dolore indirizza già lo specialista verso una precisa ipotesi diagnostica che deve essere poi confermata dall’esame obiettivo. È indispensabile, quindi, che il paziente affetto da dolore calcaneale venga valutato al fine di diversificare, dal punto di vista diagnostico-differenziale, la fascite plantare in senso stretto da altre patologie, che causano dolore calcaneale. Infatti vanno ben inquadrate e distinte le tallodinie da Artrite Reumatoide o da artropatie sieronegative, quelle per fratture da “fatica o stress” del calcagno, le importanti sindromi canalicolari nervose da intrappolamento del nervo tibiale e dei suoi rami terminali, fino alle sia pur rare forme neoplastiche del retropiede.

Come viene diagnosticata la fascite plantare?

Gli esami strumentali, richiesti in modo circostanziato, motivato e il più accuratamente possibile per porre al radiologo un preciso quesito diagnostico, consistono in una radiografia dei due piedi in carico per valutare la componente strutturale osteo-articolare, e in un esame Eco-Tomo-Grafico (ETG) finalizzato allo studio di tutti i tessuti molli pericalcaneali. Secondo necessità e in casi ben selezionati, potrà risultare necessaria una Risonanza Magnetica Nucleare o ulteriori accertamenti.

Come si può prevenire la fascite plantare?

È fondamentale controllare il sovrappeso ed evitare “over use”. Particolare attenzione va dedicata alla calzatura (sia quando si esce, sia a casa), che dovrà essere confortevole e con leggero rialzo sul tacco. Per lo stesso motivo, va evitata la deambulazione a piede scalzo sulla sabbia, perché inevitabilmente il piede appoggerà in dorsiflessione.

Come si cura la fascite plantare?

Dal punto di vista terapeutico la fascite plantare è quasi sempre da trattare in modo conservativo, ricorrendo alla terapia chirurgica solo in casi particolari e ben selezionati.

La Fisio-Kinesi-Terapia (FKT) va effettuata sotto stretto controllo del fisiatra, per impostare un corretto protocollo riabilitativo. Le terapie strumentali più indicate sono rappresentate dalla Tecar terapia e soprattutto dalle onde d’urto “focali”. In casi cronici o che tendono a cronicizzare, sono poi indicate infiltrazioni locali cortico-steroidee-anestetiche. In genere il trattamento conservativo dà buoni risultati, anche se non immediatamente, con una risposta che va da qualche settimana fino ad alcuni mesi.

Solo dopo lunghi mesi (anche 12) di trattamenti conservativi e in caso di una loro inefficacia, si presenterà l’indicazione chirurgica. Questa può essere effettuata sia in modo tradizionale, sia con moderna tecnica mininvasiva endoscopica, per ottenere una corretta fasciotomia plantare (cioè una sua detensione chirurgica).

Vengono anche effettuate delle infiltrazioni locali con apporto di tessuti di crescita, tipo PRP (Plasma Ricco di Piastrine, ottenuto con prelievo ematico sul paziente stesso).