Ne hanno parlato a “Martedì Salute” il dottor Francesco Zenga e il dottor Luca Tomaello, rispettivamente neurochirurgo e fisiatra della Clinica Fornaca: «Quando chiniamo la testa sul nostro smartphone è come se caricassimo sul nostro collo un peso di 27 chilogrammi».
L’artrosi cervicale è tra le malattie che più di frequente accompagnano l’invecchiamento dell’uomo e in taluni casi necessità dell’intervento chirurgico. È stato questo il tema affrontato durante il “Martedì Salute” dello scorso 12 novembre dal dottor Francesco Zenga, neurochirurgo della Clinica Fornaca e dirigente di primo livello presso la Neurochirurgia universitaria della Città della Salute e della Scienza di Torino e dal dottor Luca Tomaello, fisiatra della Clinica Fornaca e direttore del Centro di riabilitazione per lo sport “Isokinetic” di Torino.
«L’uomo soffre di mal di schiena anche perché si è evoluto da quadrupede a bipede – ha detto in apertura il dottor Zenga -. La nostra schiena non è fatta per stare seduta in posizione curva e con la testa girata. A furia di stare così, il rachide “si è arrabbiato” e noi ne paghiamo il prezzo anche con l’artrosi cervicale». Il dottor Zenga si è soffermato sui disturbi della colonna cervico-dorsale («Dovuti ai continui movimenti di flesso-estensione che si compiono durate la giornata», ha detto) e che vengono accusati in particolare da: sarte, orologiai, imbianchini, restauratori, addetti alle pulizie, dattilografi, contadini, persone che guardano la tv a letto. La colonna lombo-sacrale va invece in crisi per via delle posture fisse prolungate in posizione eretta statica, ne pagano il prezzo le persone che stirano, i commercianti che lavorano al banco, gli odontoiatri e le categorie come impiegati, cassieri, studenti e chirurghi.
Sulla cervicale si è soffermato il dottor Tomaello: «È quella che ci consente di muoverci e di sorreggere il capo», ha detto ricordando Atlante, la prima delle sette vertebre cervicali, che ci permette di sostenere il peso (dai sei agli otto chilogrammi) della nostra testa. «La cervicalgia – ha proseguito – è il dolore che parte dalla nuca e si estende alle spalle e talvolta anche al braccio, quando rappresenta la cosiddetta cervicobrachialgia».
«Il dolore cervicale interessa una quota di persone compresa tra il 30 e il 50 per cento della popolazione e nel 15 per cento dei casi diventa un dolore cronico che dura cioè più di sei mesi», ha aggiunto il dottor Tomaello che ha poi distinto la patologia in cervicalgia specifica (dovuta a deformità strutturali, ernie discali, infezioni, neoplasie, artriti infiammatorie, malattie viscerali, fratture, traumi) e cervicalgia aspecifica (quella muscolo-tensiva o dovuta a spasmi muscolari, distorsioni, strappi o contratture muscolari o ad altro) che rappresenta il 90 per cento del totale dei casi. «Esistono fattori specifici come fratture e spondilolistesi ed esistono fattori predisponenti come alcuni sport (lotta e boxe, per fare due esempi)», ha puntualizzato il dottor Tomaello che si occupa nello specifico dei secondi.
E lo smartphone? Quanto fa male al nostro collo? «Inclinarlo di 15 gradi significa caricarlo di 18 chili – ha spiegato -, l’inclinazione di 60 gradi che compiamo quando ci chiniamo sullo smartphone equivale a 27 chili, vale a dire a un bambino di 8 anni che ci portiamo sul collo per 2-4 ore al giorno, tempo medio di utilizzo di questo tipo di strumento». È la cosiddetta sindrome tech neck che oggi affligge molti giovani. Che fare quando abbiamo male al collo? «Non andare su Internet – ha risposto il dottor Tomaello -, ma attivarsi per avere una diagnosi (il problema è specifico o apsecifico?) e una visita con valutazione completa, compresa la componente neurologica». Diagnosi precisa, postura corretta e approccio multimodale sono i tre capisaldi nella cura della cervicalgia: «La riabilitazione è come un farmaco e affinché funzioni presuppone un giusto dosaggio», ha concluso il dottor Luca Tomaello. Ricordando che personalizzare il trattamento permette di: «Ridurre il dolore, rinforzare la muscolatura e recuperare la coordinazione».
Quando la terapia conservativa non funziona può essere necessario rivolgersi al chirurgo. «Entriamo in scena – ha confermato il dottor Zenga – di fronte a una cervicobrachialgia severa e persistente che si dimostra refrattaria alle terapie conservative, ma anche al cospetto di deficit neurologici e di segni clinici e radiologici di compressione del midollo spinale». Il dottor Zenga ha sottolineato con energia un concetto: «La chirurgia può essere risolutiva, ma solo dopo che il paziente ha fatto il percorso di trattamento illustrato dal dottor Tomaello», per poi ricordare che, in ogni caso, solo un’esigua percentuale di pazienti ha realmente bisogno dell’ intervento chirurgico.
In che modo interviene il neurochirurgo? Prima di mostrare il video di un avveniristico intervento realizzato con successo in sala operatoria, il dottor Zenga ha citato le cinque principali situazioni che lo possono chiamare in causa: intervento di fusione per via anteriore mediante utilizzo di “Cage”, intervento di protesi discale per via anteriore, laminoplastica per via posteriore, laminectomia più fusione per via posteriore, foraminotomia per via posteriore. E ha infine risposto alla domanda più gettonata dal foltissimo pubblico intervenuto nell’Auditorium di corso Inghilterra 7: c’è un collegamento tra cervicale e mal di testa? «Sì, perché la contrattura cronica del muscolo trapezio si riflette sul mal di schiena – ha dichiarato il dottor Francesco Zenga -. La cefalea è spesso legata alla cervicale e andando ad agire sul muscolo più grande si può risolvere o aiutare la situazione in atto».