«Si tratta di una chirurgia efficace nella cura della malattia arteriosa in tutti i suoi distretti», spiega il professore che, tra i primi in Italia, ha dimostrato l’efficacia dell’intervento mininvasivo: «È dimostrata la riduzione di invasività e rischio operatorio, soprattutto per i pazienti ad alto rischio».
Il 2020 porterà in dote alla Clinica Fornaca il prestigio e l’esperienza del professor Fabio Verzini, chirurgo vascolare e docente all’Università degli Studi di Torino. Il professor Verzini proviene da Perugia, dove è stato tra i primi a utilizzare la Chirurgia endovascolare mininvasiva assieme a quella tradizionale aperta: «Si tratta – spiega il professore – di una chirurgia efficace nella cura della malattia arteriosa in tutti i suoi distretti, a partire da quello carotideo, dove permette di trattare pazienti che rischiano l’ictus a causa di placche aterosclerotiche che si formano a livello della biforcazione carotidea e che possono dare un’embolia». A prescindere dalla terapia medica, in alcuni sottogruppi di pazienti questa chirurgia ha dimostrato un’efficacia importante nel ridurre il rischio di ictus: «Pazienti selezionati possono beneficiare di questa terapia che può essere eseguita con intervento aperto (endoarterectomia) o con intervento endovascolare, con l’applicazione di uno stent a livello della biforcazione carotideada un accesso con una puntura inguinale».
«La mia esperienza e attività clinica e di ricerca riguarda inoltre le malattie dell’aorta, essenzialmente quelle aneurismatiche, sia a carico dell’aorta toracica sia dell’aorta addominale», spiega il professor Verzini, tra i primi in Italia a dimostrare l’efficacia dell’intervento mininvasivo: «Sono dimostrate la riduzione dell’invasività e del rischio operatorio, soprattutto per i pazienti ad alto rischio», aggiunge. Il professor Verzini ha assistito numerosi specialisti nelle loro prime esperienze nel trattamento endovascolare aortico in molti ospedali degli Stati Uniti ed in Europa fin dalla sua prima applicazione, e ancora oggi presenta i risultati degli studi clinici sugli aneurismi in tutti i maggiori congressi mondiali. Un profilo internazionale che si è sostanziato nella partecipazione alla redazione di tutte le linee-guida europee degli ultimi cinque anni di Chirurgia vascolare nonché nell’appartenenza alla Società americana, europea e italiana, nella nomina di socio onorario della Società britannica e in quella di fellow dello European Board, sempre di Chirurgia vascolare, di cui è esaminatore dal 2010.
Quali sono i vantaggi della tecnica mininvasiva? «Per i pazienti idonei, parliamo di malattia aneurismatica dell’aorta toracica, è stato dimostrato che l’intervento mininvasivo con endoprotesi riduce il rischio sia di mortalità sia di morbilità perioperatoria – risponde il professor Verzini -. L’intervento aperto richiede invece l’apertura della cavità toracica in pazienti che sono spesso in età avanzata, fumatori o ex fumatori, con rischio molto alto di complicanze spesso dovute a cardiopatia e patologia polmonare concomitante. Per questo riserviamo oggi questa scelta a pazienti giovani, a basso rischio operatorio».
La via mininvasiva significa molto spesso anestesia locale con device sempre più raffinati: il professor Verzini è stato il principale “investigator” del trial mondiale di un nuovo modello di endoprotesi che può essere usato con accesso inguinale “senza taglio” per via mininvasiva percutanea anche in pazienti che prima avevano bisogno di accesso chirurgico. «Si tratta di strumenti molto utili a pazienti con malattia arteriosa diffusa e nei pazienti di sesso femminile che, di solito, hanno arterie molto più piccole – aggiunge il professor Verzini -. Nei casi di aneurisma aortico esteso sia alla aorta toracica sia alla aorta addominale, abbiamo la necessità di utilizzare protesi fatte su misura del paziente con ramificazioni laterali che possono mantenere pervi i vasi che si dipartono dall’aorta. Siamo in grado di realizzare, sulla base delle TC pre-operatorie del paziente, protesi su misura che ci permettono di correggere la malattia».
Negli ultimi vent’anni la Chirurgia vascolare si è peraltro trasformata significativamente: «Mentre per gli interventi carotidei la Chirurgia endovascolare deve ancora dimostrare la superiorità su quella aperta – puntualizza il professor Verzini -, per quelli aortici il 70/80 per cento dei pazienti può andare incontro con beneficio all’intervento mininvasivo di chirurgia toracica e il 60 per cento può sottoporsi a quello di chirurgia addominale. Gli altri pazienti hanno invece caratteristiche anatomiche che ci fanno pensare come l’intervento aperto sia ancora la soluzione migliore. Tali interventi tradizionali sono sempre effettuati da noi con ottimi risultati, ovviamente in pazienti ben selezionati, dopo accurati controlli pre-operatori e con adeguata assistenza peri-operatori».
E la malattia ostruttiva arteriosa degli arti inferiori? «Se fattibile, la stragrande maggioranza dei casi viene trattata per via endovascolare – osserva il professor Verzini -. L’intervento mininvasivo consiste nello schiacciare la placca con dei palloncini e nell’ingabbiarla con stent che mantengono l’arteria aperta. Questa malattia tende a recidivare, ma l’intervento è poco invasivo e si può ripetere». I pazienti tipici sono quelli con fattori di rischio per la malattia aterosclerotica: «Prevalentemente maschi, fumatori, ipertesi, con segni di cardiopatia, sempre più di frequente diabetici, di solito alla settima o ottava decade di vita. Anche in questa localizzazione la chirurgia aperta con la confezione di by pass resta un’ottima alternativa terapeutica specialmente in casi di interessamento arterioso esteso».