«La tecnica permette di comprendere i rapporti mente-cervello e di scoprire dove e come avviene il complesso gioco mentale in cui sistemi biologici, psicologici e sociali funzionano e interagiscono tra loro», spiega la dottoressa Consuelo Valentini, neuroradiologa della Clinica Fornaca.
Lo studio dei processi cognitivi fornisce la possibilità di distinguere nell’invecchiamento cerebrale forme degenerative e di individuare precocemente quel 50 per cento di pazienti destinati a sviluppare una demenza, la malattia di Alzheimer o la degenerazione lobare frontotemporale.
La tecnica di Risonanza Magnetica funzionale (fMRI) è stata introdotta come metodica di studio dell’attività cerebrale circa 25 anni fa e si è dimostrata utile ed efficace sia in campo psicologico e cognitivo sia in campo medico. «In campo cognitivo – spiega la dottoressa Consuelo Valentini, neuroradiologa della Clinica Fornaca e Direttore della Neuroradiologia della Città della Salute e della Scienza di Torino -, la ricerca è rivolta a una sempre maggior comprensione dei rapporti mente-cervello, di dove e come avvenga il complesso gioco mentale in cui sistemi biologici, psicologici e sociali funzionano e interagiscono tra loro. Nel campo della neuropsicologica clinica, ricerca e applicazione convergono nell’individuazione, valutazione e trattamento riabilitativo dei disturbi cognitivi e comportamentali provocati da un danno cerebrale a varia eziologia (vascolare, degenerativa, traumatica, infettiva, infiammatoria, neoplastica)». In campo medico, ottenere simultaneamente – in vivo e in modo non invasivo – l’immagine strutturale e funzionale del cervello, ha significato una nuova prospettiva per la neurochirurgia: «La lesione da asportare può essere valutata non solo nella sua sede anatomica ma anche nei suoi rapporti con aree funzionali eloquenti permettendo di evitare o ridurre deficit neurologici», conferma la dottoressa Valentini.
La Risonanza Magnetica funzionale si basa sulla tecnica BOLD (Blood oxigen level dependent) cioè sul cambiamento del segnale provocato dall’aumento del flusso cerebrale indotto dalla necessità di ossigeno della area cerebrale attivata. «L’aumento del flusso di sangue ossigenato nell’area di attivazione corticale provoca una maggior diluizione locale della deossiemoglobina che, essendo paramagnetica, è caratterizzata da un basso segnale – precisa la dottoressa Valentini -. La sua maggior diluizione provoca quindi un focale aumento del segnale nell’area di iperafflusso ematico, segnale che viene rilevato e misurato. In questo modo possiamo identificare la relazione esistente tra comportamento, processi cognitivi e attività neuronale sottostante». Come per tutte le tecniche finora adottate per studiare l’attività cerebrale, anche la Risonanza Magnetica funzionale non è esente da critiche: «Le limitazioni intrinseche alla metodica sono la risoluzione temporale che è nell’ordine dei secondi, in quanto misura il flusso ematico e non l’attività elettrica dei neuroni ed è legata al tempo di acquisizione delle immagini (si tratta in sintesi di una misura indiretta del funzionamento cerebrale). I tempi di risposta rilevati sono quindi più lunghi rispetto a quelli che si riscontrano, ad esempio, con l’EEG che misura l’attività elettrica in millisecondi. L’aumento di intensità del campo magnetico migliora la risoluzione temporale e anche spaziale. Quest’ultima, legata allo spessore della sezione, è comunque superiore a quello delle altre metodiche più utilizzate per studiare le funzioni cerebrali».
Per ottenere dei risultati attendibili in Risonanza Magnetica funzionale è quindi molto importante la capacità di progettare e implementare il disegno sperimentale più corretto per ricavare in modo corretto la funzione (sensoriale, motoria, cognitiva, comportamentale) che si vuole analizzare e per poter ottenere la variazione del segnale relativa al fenomeno di interesse. «In campo neurologico, soprattutto a fini chirurgici, la Risonanza Magnetica funzionale permette di determinare la dominanza emisferica o di mappare in modo preciso nell’ambito delle principali aree funzionali le aree motorie, sensitive, uditive, visive e quelle deputate al linguaggio – conferma la dottoressa Valentini -. Viene fatto eseguire al soggetto, durante l’esame di Risonanza magnetica un movimento delle dita della mano o della bocca o del piede per l’area motoria, o vengono somministrati stimoli visivi in movimento per la corteccia occipitale, stimoli cutanei per la corteccia sensitiva, suoni musicali per la corteccia uditiva. Infine, funzioni più complesse come la produzione linguistica, attraverso test di fluenza verbale o di generazione verbi».
I risultati ottenuti, inviati in sala operatoria al neuro-navigatore consentono così di pianificare e di guidare l’intervento riducendo i rischi di deficit neurologici. Dalla sala operatoria stessa arriva anche la validazione di questa metodica: con la stimolazione intraoperatoria diretta dell’area corticale interessata si dimostra l’effettiva, precisa, corrispondenza con l’area di attivazione rilevata in Risonanza Magnetica funzionale.
«Da un punto di vista terapeutico è invece affascinante studiare la plasticità cerebrale – riprende la dottoressa Valentini -. A seguito di modificazioni patologiche quali un trauma, una lesione vascolare o altro è possibile con la Risonanza Magnetica funzionale monitorare le modificazioni dell’attività di popolazioni neuronali che, a seconda degli stimoli dell’ambiente esterno, intervengono creando nuove sinapsi per permettere il recupero funzionale». Continuo oggetto di ricerca infine è il cervello cognitivo ed emotivo: «Si cercano mappature strutturali e funzionali di complessi processi cognitivi razionali, emotivi, motivazionali, decisionali e dell’apprendimento: studi basati sui meccanismi di gratificazione permettono di comprendere l’assuefazione e le dipendenze dalle droghe o come la personalità influenzi le scelte comportamentali o come i supporti sociali modifichino le risposte emotive», specifica la dottoressa Valentini.
Lo studio dei processi cognitivi in Risonanza Magnetica funzionale fornisce anche la possibilità di distinguere nell’invecchiamento cerebrale forme degenerative e di individuare precocemente quel 50 per cento di pazienti che, mostrando segni di “mild cognitive impairment”, saranno destinati a sviluppare una demenza, come la malattia di Alzheimer o la degenerazione lobare frontotemporale. In particolare, paradigmi fMRI di Memory and Sensory Activation si sono dimostrati efficaci nel coadiuvare la diagnosi neurologica. Al contempo, paradigmi di valutazione delle funzioni esecutive e di monitoraggio dell’azione e di inibizione della risposta si sono dimostrati efficaci in popolazioni neurologiche a diversa eziologia e nella analgesia da placebo in popolazioni alzheimeriane. Paradigmi fMRI di valutazione della Teoria della mente possono inoltre supportare le indagini neurologiche e neuropsichiatriche. Le tecniche di Risonanza Magnetica funzionale si sono infine dimostrate utili anche nello studio e valutazione dei disturbi del ritmo circadiano e del sonno.