«Nella cura dell’epatite C risultano efficaci nel 98 per cento dei casi e sono pressoché privi di effetti collaterali», spiega il dottor Guido Leo, infettivologo, che invita tutte le persone con il virus a sottoporsi alla terapia e raccomanda l’esame di screening a chi ha valori sospetti.
«Ieri l’epatite C era una malattia dalla quale guarivano in pochi e con molta sofferenza. Oggi invece guariscono praticamente tutti e con terapie atossiche, benissimo tollerate dall’organismo e dagli effetti collaterali pressoché inesistenti». Il dottor Guido Leo, medico infettivologo, responsabile del Day hospital centralizzato dell’Ospedale Amedeo di Savoia di Torino, promuove con queste parole l’efficacia dei farmaci antivrali che negli ultimi due anni e mezzo hanno totalmente cambiato in meglio il destino delle persone infette dall’epatite C.
«Gli attuali sistemi di terapia per l’epatite C comportano la guarigione del 98 per cento dei nostri pazienti – precisa il dottor Leo -. I primi 50mila casi trattati in tutta Italia hanno registrato un tasso di guarigione vicino al 95 per cento e, del resto, i farmaci non vengono autorizzati se non raggiungono un’efficacia teorica superiore al 90 per cento». Un’autentica rivoluzione se paragonata ai metodi e ai numeri precedenti l’avvento dei nuovi antivirali: «L’interferone garantiva nella migliore delle condizioni la guarigione di un paziente su due e si basava su una terapia lunga e poco tollerata – aggiunge il dottor Leo -. Inoltre, sui pazienti con una malattia in stato più avanzato la percentuale si abbassava in modo repentino, fermandosi ad appena il 10-20 per cento per le forme più severe di cirrosi». Un’autentica rivoluzione: «Siamo passati dal carro con il mulo a un’auto tra le più moderne. Un altro pianeta con meccanismi e risultati davvero esaltanti».
Il cambio di passo è stato tale che il lavoro odierno degli infettivologi viene indirizzato verso i pochi pazienti andati incontro a un fallimento della terapia: «Tra qualche mese potrebbe già entrare in commercio un farmaco in grado di prendersi cura di queste persone, oggi impossibilitate a ripetere il trattamento poiché i meccanismi d’azione dei vari farmaci sono molto simili e il fallimento di uno può rappresentare il fallimento di tutti», precisa il dottor Leo. Ecco perché in questa è fondamentale il ruolo dell’infettivologo: «Trattare con la dovuta attenzione i pazienti è necessario affinché una buona selezione iniziale del farmaco possa ridurre in modo ulteriore questo piccolo rischio di fallimento», puntualizza il dottor Leo. Che si sofferma anche sull’importanza dell’esperienza dello specialista: «Noi infettivologi siamo avvantaggiati nella cura dei dei pazienti co-infetti, perché questi nuovi farmaci antivirali hanno meccanismi d’azione simili a quelli usati per la cura dell’HIV di cui abbiamo un’esperienza ormai ventennale. Personalmente ritengo opportuno che un paziente con epatite C e sieropositivo per HIV venga trattato dall’infettivologo. Nei mono-infetti con solo l’epatite C si può invece tranquillamente ricorrere ad altri specialisti, come il gastroenterologo e l’internista, purché esperti. E l’esperienza si costruisce con il numero di casi trattati».
La riduzione dei costi e l’allargamento della prescrizione terapeutica anche a chi non ha la cirrosi rappresentano altrettanti inviti alla cura. «Tutti possono essere curati e trarre beneficio da questi farmaci», sottolinea ancora il dottor Leo. Che in tema di screening avanza un suggerimento: «Tra le tante persone con epatite C che non appartengono alla classica categoria del tossicodipendenti, la stragrande maggioranza non sa di essere infetto. Chi ha le transaminasi alterate o lamenta problemi anche minimi al fegato dovrebbe essere sottoposto alla ricerca degli anticorpi anti HCV, magari su suggerimento dal medico di famiglia. Perché la terapia è tanto più efficace quanto è poco avanzato lo stato della malattia», conferma il dottor Leo.
Anche per i pazienti cirrotici i nuovi farmaci antivirali contro l’epatite C hanno rappresentato un importante punto di svolta: «Intanto la terapia è efficace nel 70-75 per cento dei casi a fronte del piccolo 10 per cento premiato dall’Interferone – conclude il dottor Guido Leo -. È ovvio che guarisce il virus ma non la cirrosi che è un’alterazione anatomica irreversibile. Tuttavia, la cura blocca la progressione della malattia e, qualora debba sottoporsi a trapianto di fegato, il paziente può presentarsi all’appuntamento in condizioni ottimali perché l’infezione virale è stata debellata».