Nuove speranze per combattere l’epatite C: «l’abbinamento tra Sofosbuvir e Simepreviril è efficace nel 90 per cento di casi del genotipo 1», spiega il professor Mario Rizzetto. L’Agenzia italiana del farmaco ha introdotto un criterio che determina l’identità di chi potrà accedere al trattamento.
Guarire dall’epatite C. Si può fare grazie ai nuovi farmaci antivirali finalmente in commercio anche in Italia. Pazienti che vedono allungata la loro aspettativa di vita e, verosimilmente, dicono addio alla prospettiva drammatica dello scompenso clinico da cirrosi epatica o del tumore al fegato che li attendeva al varco. Il tutto con la più semplice delle cure: una o due pastiglie al giorno per un periodo di tre mesi o sei mesi, dopodiché il virus non ci sarà più, rimosso come un segno di matita da un foglio di carta.
A cancellarlo ha provveduto in principio il Sofosbuvir, al quale s’è di recente affiancato il Simeprevir. Se abbinati, questi due farmaci risultano in circa il 90 per cento dei casi efficaci nei confronti del genotipo 1 dell’epatite C, quello più diffuso in Italia e negli altri paesi occidentali. Nulla a che vedere con gli esiti dei trattamenti precedenti e con l’interferone, non sempre tollerato da chi ha il fegato mal ridotto.
Si tratta di una efficace combinazione che presenta un solo problema, tutto di natura economica: «Allo Stato italiano il ciclo terapeutico completo di Sofosbuvir e Simeprevir costa al momento circa 50mila euro a paziente, una cifra elevata che non permette di elargirlo a tutti», spiega il professor Mario Rizzetto, direttore della struttura complessa di Gastroenterologia U della Città della Salute e della Scienza di Torino e consulente della Clinica Fornaca.
In Italia le persone infette sono stimate in circa un milione e mezzo, anche se quelli con malattia si attestano sulle 300mila unità e quelli con malattia grave sulle 50mila unità. «L’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) ha introdotto un criterio che determina l’identità di chi potrà accedere al trattamento – prosegue il professor Rizzetto -: Sofosbuvir e Simeprevir potranno essere somministrati a chi possiede un valore di FibroScan pari o superiore a 10 KPa. Attenzione, perché non si tratta dei pazienti che si trovano in una fase terminale della malattia con sintomi e problemi clinici ma di quelli che invece vivono ancora una fase asintomatica della stessa: hanno una fibrosi o una cirrosi epatica che domani potrà sicuramente dare problemi o evolverà in un tumore ma al momento lo loro qualità di vita è buona a sufficienza. Il trattamento si rivolge a loro e saranno loro a guarire dall’epatite C».
«L’efficacia della cura è indiscutibile – commenta ancora il professor Rizzetto -, al punto che avrebbe persino senso condurre uno screening tra la popolazione, quello oggi che negli Stati Uniti si va raccomandando in chi è nato tra il 1945 e il 1965, una generazione che per determinate condizioni socio-igieniche ha contratto il virus con maggiore facilità». Screening che permetterebbe di curare molte persone: «Riducendo la mortalità, prevenendo l’esecuzione di trapianti di fegato e, a gioco lungo, minimizzando i costi sociali di una malattia che ha un grosso peso sui conti della sanità».
Conti che, in Italia, salterebbero in aria se il trattamento con Sofosbuvir e Simeprevir dovesse essere esteso a tutti i 300mila pazienti diagnosticati: ribadito che il costo medio della cura ammonta ora a circa 50mila euro, il totale complessivo si aggirerebbe sui 15 miliardi di euro, quasi l’intera spesa annua che il Servizio sanitario nazionale riserva ai farmaci di tutte le malattie. Una cifra insostenibile. «Possiamo finalmente trattare e sconfiggere una malattia mortale quale la cirrosi o il tumore al fegato – evidenzia il professor Rizzetto -. La speranza è che cali il prezzo del farmaco e che si possa così allargare la base dei pazienti che vi potranno fare ricorso». Il Governo italiano ha annunciato un fondo speciale di un miliardo di euro, finanziato dalla legge di stabilità per gli anni 2015 e 2016, ma al momento non sono ancora note né le modalità né i tempi che segneranno l’attuazione delle cure.
«Per chi, come me, ha lavorato per decenni in questo ambito e ha anche seguito l’evoluzione di tutto ciò che ha riguardato lo studio delle epatiti, questi farmaci antivirali rappresentano un risultato straordinario che segna una svolta nello studio e nella cura delle malattie del fegato», conclude il professor Mario Rizzetto che da tempo mette anche al servizio della Clinica Fornaca tutta la propria esperienza nella cura e nella prevenzione delle malattie epatiche.