«Farmaci e guida: gli psicofarmaci possono favorire un effetto sedativo», spiega il dottor Lorenzo Fabiani, neurologo della Clinica Fornaca. «L’alterata velocità di reazione rappresenta il problema che deve essere ben chiaro a medico e paziente».
«Il problema non è addormentarsi al volante bensì spostare senza l’adeguato riflesso il piede dal pedale dell’acceleratore a quello del freno». Il dottor Lorenzo Fabiani, neurologo della Clinica Fornaca, riassume così il controverso legame tra farmaci e guida: «L’uso di alcuni farmaci andrebbe attentamente valutato proprio per ridurre il rischio di potenziali effetti collaterali in grado di alterare il nostro stato di vigilanza e, di conseguenza, la nostra velocità di reazione quando ci troviamo alla guida di un veicolo».
Dottor Fabiani, quali sono i farmaci potenzialmente in grado di rallentare le reazioni di chi sta guidando un autoveicolo?
«I farmaci psicotropi, più comunemente noti come psicofarmaci, sono tutti quelli che interferiscono in qualche modo con l’attività del sistema nervoso centrale. Alcuni di loro, è il caso di antidepressivi e antiepilettici, sono percepiti con perplessità e timore, altri sono invece sottostimati e utilizzati con eccessiva leggerezza. come accade con ansiolitici e antiemetici che, assieme all’effetto curativo, possono comunque favorire effetti di natura sedativa. È un atteggiamento culturale che abbina all’antidepressivo gli spettri della dipendenza o della malattia psichiatrica e, viceversa, si mostra molto più rilassato verso gli ansiolitici “perché tanto li prendono tutti”. Di sicuro, tutti i farmaci psicotropi andrebbero studiati e conosciuti meglio, a partire dal medico che dovrebbe fare un grosso sforzo di comunicazione nei confronti dei propri pazienti».
In questi casi, come avviene la comunicazione tra medico e paziente?
«Mentre la legge sull’alcol è molto chiara, sull’utilizzo dei farmaci c’è maggiore incertezza, nonostante l’articolo 187 del Codice della strada regoli e sanzioni la guida sotto effetto di sostanze psicotrope. Per il medico è sempre molto difficile dire al paziente ciò che deve fare, soprattutto quando a una certa decisione può corrispondere una limitazione della libertà. È indispensabile impostare un percorso terapeutico di tutta sicurezza ma è altrettanto doveroso essere trasparenti su quelli che possono essere i rischi e le conseguenze biologiche, umane e morali dell’uso improprio di certi farmaci».
Accade spesso che il paziente opponga resistenza o cerchi di non affrontare il problema di farmaci e guida?
«Resiste una tendenza machiavelica ad aggirare l’ostacolo per ottenere l’autorizzazione. Ma un’autocertificazione che contiene delle omissioni sull’uso di sostanze o farmaci è un clamoroso autogol che spesso determina conseguenze disastrose. Dal momento che il Codice della strada vieta la guida sotto l’effetto di sostanze che alterano la mente, io suggerisco l’assoluta trasparenza verso le istituzioni: non bisogna avere paura di dichiarare lo stato delle cose, è fuori dal tempo ragionare nella direzione opposta. Come faceva notare qualcuno, la patente non è un diritto bensì un documento che mi autorizza a guidare un veicolo nonché ad avere tutta una serie di responsabilità nei confronti miei e degli altri».
Come si risponde al paziente in terapia ansiolitica che assicura di non addormentarsi al volante o di saper dosare la quantità di farmaco a seconda delle necessità legate alla guida?
«Dicendo che tutte le sostanze ansiolitiche modulano il segnale di ansia, angoscia o paura ma determinano una serie di reazioni e interferenze che in qualche modo rallentano alcuni riflessi. Non è una sedazione bensì una moderazione della velocità di reazione a uno stimolo: se sono sotto l’effetto di un ansiolitico e ho bisogno di una risposta molto veloce perché qualcuno mi attraversa la strada all’improvviso, quella latenza che non ho ben previsto né calcolato nella mia reazione di adattamento a una manovra di emergenza può essere sufficiente a causare un impatto. L’effetto del farmaco è sempre soggettivo e non è mai quantificabile, ecco perché è bene essere sempre molto prudenti».
Rinunciare alla guida può però rappresentare una notevole limitazione: è il destino che attende tutti i pazienti che utilizzano psicofarmaci?
«Assolutamente no. Il nostro cervello è una macchina molto plastica con una straordinaria capacità di adattamento. L’ansiolitico o l’antidepressivo possono rappresentare la stampella che lo aiuta ad affrontare l’emergenza, dopodiché le adeguate misure di trattamento (psicoterapia e altro) potranno condurre al superamento della crisi e alla riduzione della quantità di farmaci».