Linfonodi, qual è il loro significato prognostico in oncologia chirurgica?


Di linfonodi sentinella s’è parlato mercoledì 17 gennaio all’incontro del Comitato scientifico della Clinica Fornaca con gli interventi della professoressa Anna Sapino, del professor Sergio Sandrucci e del professor Gianruggero Fronda. “Il significato prognostico dei linfonodi in oncologia chirurgica”: era questo il titolo del primo appuntamento annuale del Comitato scientifico della Clinica Fornaca, riunito mercoledì […]

Di linfonodi sentinella s’è parlato mercoledì 17 gennaio all’incontro del Comitato scientifico della Clinica Fornaca con gli interventi della professoressa Anna Sapino, del professor Sergio Sandrucci e del professor Gianruggero Fronda.

“Il significato prognostico dei linfonodi in oncologia chirurgica”: era questo il titolo del primo appuntamento annuale del Comitato scientifico della Clinica Fornaca, riunito mercoledì 17 gennaio all’interno della Sala Piemonte dell’Unione industriale di Torino. A discuterne di fronte a una folta e qualificata platea c’erano la professoressa Anna Sapino, Direttore scientifico dell’Istituto di Candiolo IRCCS; il professor Sergio Sandrucci, responsabile della Chirurgia dei Sarcomi e Tumori rari viscerali presso la Città della Salute e della Scienza di Torino; il professor Gianruggero Fronda, senior consultant all’ospedale Humanitas Gradenigo e già responsabile della Chirurgia generale dell’ospedale Molinette di Torino.

«Il linfonodo non è una ghiandola bensì un organo linfatico dalle caratteristiche specifiche, modificabili a seconda dello stato di stimolazione che, in caso di reazioni metastatiche, determina la modifica della sua struttura», ha premesso la professoressa Sapino. «Nella patologia oncologica si è definito negli ultimi anni un linfonodo in particolare, quello sentinella: è il primo linfonodo a cui giunge la linfa dall’organo principale, è la prima stazione dove transita la linfa e dove si possono fermare le cellule neoplastiche», ha aggiunto. Determinate cellule possono essere distrutte dal sistema linfatico, altre entrano invece nel linfonodo determinando la metastasi: «L’ipotesi è che se noi individuiamo e troviamo libero il primo linfonodo della catena che drena da un particolare tumore, siamo in grado di affermare che neanche gli altri linfonodi possono avere metastasi». La professoressa Sapino ha quindi proseguito: «Individuato dal chirurgo il linfonodo sentinella, tocca all’anatomo patologo dire se è metastatico oppure no: nel primo caso, il chirurgo prosegue e toglie anche gli altri linfonodi, nel secondo caso ci si ferma lì». L’intervento di ripulitura delle stazioni linfonodali può avvenire in un solo tempo chirurgico o anche due. La localizzazione del tumore e Il numero di cellule presenti nel linfonodo esaminato possono tuttavia generare metodi di trattamento molto differenti: melanoma e mammella, per fare un esempio, richiedono analisi molto diverse. La professoressa Sapino s’è infermata soffermata su pregi e difetti delle tre tecniche utili alla diagnosi intraoperatoria. «Il sistema “Imprint”, l’esame istologico al congelatore e la tecnica innovativa molecolare che si chiama Osna (One Step Nucleic Acid Amplification) sono le tre possibilità che permettono al chirurgo di conoscere già in sala operatoria la situazione del linfonodo sentinella del paziente», ha ricordato il Direttore scientifico dell’Istituto di Candiolo illustrando attendibilità e costi di ciascun metodo.

Dopo aver fornito cenni storici che hanno fissato alla fine dell’800 i primi studi sul linfonodo sentinella, il professor Sandrucci s’è soffermato a lungo sulla linfoadenectomia (lo svuotamento linfonodale) curativa. «Il principio non è andare a cercare un linfonodo metastatico ma andare a cercare il primo linfonodo che riceve la linfa dal distretto dove c’è il tumore» ha ribadito. L’utilizzo di coloranti fluorescenti rappresenta il futuro di una metodica che nel caso della mammella è diventata lo standard di cura per la sua capacità predittiva. «Si va verso una chirurgia conservativa che tende sempre più a evitare la dissezione ascellare», ha sottolineato.

Infine il professor Fronda ha riferito della propria esperienza in ambito chirurgico per quanto riguarda stomaco, pancreas e colon retto. «Le metastasi linfonodali sono soltanto un indicatore prognostico oppure le asportazioni e quindi le linfoadenectomie allargate forniscono un guadagno dal punto di vista della sopravvivenza?», ha domandato esordendo. Ha quindi parlato del tumore allo stomaco, uno dei pochi in regressione epidemiologica soprattutto nei paesi occidentali («Anche se ogni anno in Piemonte si diagnosticano circa 900 casi», ha precisato) osservando come in studi internazionali e locali la linfoadenectomia allargata abbia fornito risultati apprezzabili senza risultare penalizzante per quanto riguarda mortalità (45 per cento di sopravvivenza a cinque anni dall’intervento) e morbilità. Per quanto riguarda la chirurgia pancreatica, oggi appena il 27 per cento dei pazienti sopravvive a cinque anni dall’intervento, mentre chi non è operato ha un’aspettativa che si limita a soli ventiquattro mesi.: «All’esordio solo un malato su quattro è resecabile – ha puntualizzato il professor Fronda -, in molti casi la problematicità della situazione sconsiglia il gesto chirurgico che quando avviene deve essere radicale: asportazione totale, seguita da una linfoadenectomia che viene definita “adeguata” e che non determina miglioramenti in termini di sopravvivenza». Infine, quella del colon retto è una patologia in grande espansione: «Negli Stati Uniti sta raggiungendo il polmone e la prostata tra gli uomini e la mammella tra le donne, ma si muore meno che in passato», ha spiegato prima di concludere che in questo caso la tecnica chirurgica prevede praticamente da sempre la linfoadenectomia e continua a utilizzarla con benefici concreti.