A colloquio con il dottor Walter Troni, neurologo della Clinica Fornaca: la quarantena forzata ha prodotto ricadute negative sul sonno e soprattutto sulla sua patologia più frequente, l’insonnia. No all’abuso di farmaci ipno-inducenti, evitare il pisolino pomeridiano e di assopirsi davanti alla Tv: «Il sonno è un fenomeno delicato che richiede una rassicurante ripetitività dei comportamenti».
Quali ricadute negative sul sonno e soprattutto sulla sua più frequente patologia, l’insonnia, hanno caratterizzato i giorni dell’emergenza da Coronavirus? Quali sono stati gli effetti che il prolungato “lockdown” ha provocato sul nostro dormire? Risponde alle domande il dottor Walter Troni, neurologo della Clinica Fornaca: «Alcune di queste ricadute sono state comuni, facilmente comprensibili e dirette, tutte conseguenza dell’ansia sociale che ci ha pervaso in un momento legato al rischio del contagio e che sicuramente non ha rappresentato un buon viatico per un sonno sereno – afferma -. Altre sono state legate al profondo sovvertimento dei comportamenti diurni imposti alla maggior parte di noi dal lockdown, un imprevisto quanto improvviso cambiamento del nostro stile di vita».
Continua il dottor Troni: «Vale, anche per queste forzate “vacanze domiciliari”, quanto diceva Orazio a proposito delle vacanze vere e volontarie: “Muta cielo e non anima chi va oltre il mare”. E infatti tutti noi siamo entrati in questa singolare esperienza esistenziale mantenendo invariato il nostro profilo di personalità e portandovi dentro tutto il nostro consueto bagaglio affettivo». In alcuni casi, in particolare per chi era vincolato a un’attività lavorativa impegnativa e frustrante, è possibile che la fase di “alleggerimento” da impegni non gratificanti si sia tradotta in una parziale remissione dell’ansia e depressione reattiva con un conseguente miglioramento della qualità del sonno. «Ma purtroppo – ammonisce il dottor Troni – è risultato molto più frequente che l’ansia anticipatoria legata al timore di perdere il posto di lavoro abbia finito col turbare la qualità del sonno».
Per chi già soffriva in precedenza di problemi di insonnia, in tutte le sue forme cliniche e nelle sue molteplici cause, il periodo di quarantena forzata ha rappresentato sicuramente un rischio reale di recidiva o aggravamento. «Tra i molti fattori causali – prosegue il dottor Troni -, possono entrare in gioco il venir meno dell’impegno lavorativo e delle sue relazioni interpersonali, che costringe il soggetto ad aver più tempo per “fare i conti con se stesso” o, talora, un’accentuata conflittualità familiare favorita dalla coesistenza forzata». Questo peggioramento si traduce di solito: «In un prolungamento del tempo di addormentamento e nella perdita della continuità del sonno, con frequenti risvegli spontanei che spesso si riflettono in un’alterazione dell’architettura del sonno».
L’indagine polisonnografica, che consiste nella registrazione durante l’intera notte dell’attività elettrica cerebrale (EEG) del soggetto dormiente, permette di documentare il susseguirsi delle diverse fasi che compongono la complessa struttura funzionale del sonno. «In questi casi, tale analisi strumentale mostra spesso due aspetti prevalenti – precisa il dottor Troni -. In primo luogo, una riduzione di quella fase di sonno profondo, detto sonno “lento” per le specifiche caratteristiche EEGrafiche, che rappresenta la componente più “ristoratrice” del sonno, a cui spesso si associa una riduzione della fase REM che, come noto, coincide con l’attività onirica. Tali alterazioni giustificano la soggettiva, profonda stanchezza, che affligge questi soggetti al risveglio, quale prova evidente del mancato effetto ristoratore del sonno». Per queste persone il pericolo più grave risiede nell’abuso di farmaci ipno-inducenti: «Preziosi e innocui se usati correttamente, ma spesso autosomministrati senza alcun controllo medico – ammonisce il neurologo -. L’uso continuativo e prolungato di tali farmaci oltre i limiti corretti determina inevitabilmente assuefazione e perdita di efficacia che inducono il soggetto a un progressivo aumento delle dosi. Si crea così un circolo vizioso che non risolve l’insonnia. ma la aggrava fino a quando diventerà impellente la necessità di ridurne il dosaggio o tentarne la sospensione».
Anche per chi non aveva in precedenza un rapporto “conflittuale” con il proprio sonno, la singolarità della condizione di semi-reclusione domiciliare di questo periodo può aver comportato qualche sorpresa negativa. «Chi avesse avvertito la progressiva comparsa di una ridotta efficienza del proprio sonno, dovrà resistere alla tentazione di usare farmaci ipnotici e adottare in primo luogo durante il giorno quell’insieme di condotte comportamentali che compongono una corretta “igiene del sonno” – argomenta il dottor Troni -. Il sonno è un fenomeno delicato la cui integrità richiede in primo luogo una rassicurante ripetitività dei comportamenti. È importante proteggere il ritmo circadiano di alternanza sonno-veglia mantenendo il più possibile costanti l’ora di andata a letto e di risveglio. È importante evitare il “pisolino” pomeridiano, tentazione quasi irresistibile nei giorni del lockdown ed è importante riuscire a fare una adeguata attività fisica. Un buon sonno è favorito da una mente sgombra abbinata a un corpo stanco ma non troppo. Bisogna evitare di assopirsi in poltrona davanti alla televisione ed è bene evitare tutte quelle consuetudini voluttuari, come fumo e alcol, che notoriamente contrastano il sonno».
«È importante mantenere all’avvicinarsi dell’ora del sonno tutti quei rituali individuali che favoriscono il sonno – conclude il dottor Walter Troni -. Per facilitare il sonno non bisogna pensare al sonno. Non siamo noi che dobbiamo conquistare il sonno, ma è il sonno che deve impadronirsi di noi. Soltanto quando questi comportamenti non daranno risultati soddisfacenti si potrà ricorrere, su consiglio medico e sempre per periodi limitati, all’uso della terapia farmacologica ipno-inducente più adatta per il singolo soggetto».