Potenziali evocati somestesici: lo studio della Fornaca coinvolge le aree del viso


Realizzata nel laboratorio di Neurofisiologia della Clinica Fornaca dal dottor Walter Troni, la ricerca è stata pubblicata da “Clinical Neurophysiology Practice” e documenta una nuova metodica in grado di ottenere risposte evocate corticali attraverso lo stimolo delle aree cutanee del viso.   I potenziali evocati rappresentano indagini neurofisiologiche che hanno l’obiettivo di individuare un’anomalia della […]

Realizzata nel laboratorio di Neurofisiologia della Clinica Fornaca dal dottor Walter Troni, la ricerca è stata pubblicata da “Clinical Neurophysiology Practice” e documenta una nuova metodica in grado di ottenere risposte evocate corticali attraverso lo stimolo delle aree cutanee del viso.

 

I potenziali evocati rappresentano indagini neurofisiologiche che hanno l’obiettivo di individuare un’anomalia della trasmissione dei messaggi elettrici lungo il sistema nervoso centrale. Si dividono tra potenziali evocati visivi, potenziali evocati uditivi, potenziali evocati motori e potenziali evocati somestesici. In quest’ultima categoria si colloca il recente studio, progettato e realizzato nel laboratorio di Neurofisiologia della Clinica Fornaca dal dottor Walter Troni e pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale “Clinical Neurophysiology Practice”, relativo a una nuova metodica in grado di registrare i potenziali evocati somestesici attraverso la stimolazione del distretto cutaneo del nervo trigemino, cioè dalla cute del viso.

Dottor Troni, in che modo il potenziale evocato somestesico consente di registrare le alterazioni di un paziente?

«La premessa necessaria è cercare di descrivere il concetto base del potenziale evocato somestesico. È esperienza comune che uno stimolo tattile portato in qualunque zona sensibile del nostro corpo evochi una sensazione cosciente: ciò si verifica perché esistono vie nervose sia periferiche (nervi) sia centrali (tratti nervosi lungo il midollo e il cervello) che veicolano un pattern di impulsi codificati a una specifica zona della corteccia cerebrale (area somestesica), specializzata nell’elaborare tale afferenza sensitiva e renderla cosciente e ben definita nei suoi parametri di localizzazione corporea, intensità, eccetera. Tale funzione corticale si esprime in un’attività elettrica, ben correlata temporalmente allo stimolo generatore, che può essere registrata medianti elettrodi collocati sul cuoio capelluto del soggetto in aree anatomicamente ben definite, esattamente come avviene per la registrazione del comune elettroencefalogramma. L’adeguata conoscenza delle caratteristiche morfologiche e temporali di queste risposte registrate dal cervello dei soggetti normali rappresenta ovviamente il termine di paragone per interpretare le eventuali alterazioni che si verificano in condizioni patologiche, a causa di aree danneggiate lungo tutto il percorso anatomico delle vie sensitive esplorate».

Possono esserci d’aiuto le neuro-immagini? In che modo?

«È proprio questo l’aspetto di estremo interesse dello studio di tali risposte quando, nella pratica clinica, queste vengono correlate ai risultati della neuro-immagini, ad esempio la Risonanza Magnetica. Infatti, mentre la RM ci fornisce preziose e raffinate immagini anatomiche delle strutture nervose, solo lo studio abbinato delle risposte evocate ci fornisce il corrispettivo funzionale di tali strutture, ovviamente non deducibili dal puro dato anatomico».

Come si riflette tutto ciò sull’ambito clinico?

«L’esempio più convincente è rappresentato dalla sclerosi multipla, condizione patologica caratterizzata dalla presenza di multiple aree focali di infiammazione diffuse nel sistema nervoso. È evidente che il riscontro di un’alterazione delle risposte evocate che coincidono con aree anatomiche risultate affette alla RM conferma la natura patologica delle stesse. Soprattutto il dato funzionale fornito dalle risposte evocate rappresenta un utile strumento di monitoraggio dell’evoluzione della malattia e dei risultati conseguiti dalla terapia».

Lo studio realizzato in Fornaca ha il suo punto di forza nel coinvolgimento delle aree del viso. Come mai?

«I potenziali evocati somestesici sono da molti decenni largamente utilizzati nella quotidiana pratica clinica con stimolazione elettrica di vari distretti sia degli arti superiori che inferiori. Al contrario, era stato finora impossibile ottenere risposte evocate corticali da stimolazione elettrica delle aree cutanee del viso. Sicuramente, la causa principale di tale limite era sempre stata l’incontrollabile artefatto generato dallo stimolo elettrico, dettato dalla stretta vicinanza fra punto di stimolazione (viso) e punto di registrazione (volta cranica), tale da mascherate totalmente la risposta evocata. Il risultato della nostra ricerca è stato quello di aver individuato una metodica efficace ma semplice e alla portata di qualunque laboratorio di neurofisiologia, per cancellare tale artefatto e permettere quindi un’adeguata definizione delle caratteristiche morfologiche della risposta evocata con stimolazione selettiva di molte, diverse aree del viso. Tale metodica apre quindi la possibilità di indagine in molti campi della patologia trigeminale tra cui, quale esempio immediato, le forme nevralgiche, al fine di distinguere tra forme sintomatiche ed essenziali».

Per quale motivo il trigemino è noto anche per la sua capacità di farci sentire dolore?

«La nevralgia trigeminale è una patologia molto frequente e rappresenta un problema clinico importante. Parliamo di dolori lancinanti che interessano di solito una, talvolta due, delle tre branche di cui si compone il trigemino: oftalmica, mascellare e mandibolare. Innescato da una zona cosiddetta “trigger”, il suo toccamento innesta un dolore molto violento e spesso difficile da trattare in modo efficace. Il dato importante, dimostrato negli ultimi anni proprio dalla RM, è che questa nevralgia è spesso dovuta a un conflitto neurovascolare: accade quando la zona di origine del trigemino è adiacente a vasi arteriosi anomali la cui attività pulsante determina una sorta di martelletto sulla radice del nervo e causa la sintomatologia dolorosa. Spesso separando queste due strutture la nevralgia scompare: nelle forme in cui la RM documenta il conflitto neurovascolare l’intervento chirurgico si dimostra nella maggior parte dei casi l’accesso terapeutico più risolutivo».