Negli sport da combattimento, l’arto superiore è una delle parti del corpo maggiormente coinvolta; si pensi che quasi il 60% dei traumi nella pratica di questi sport affligge l’arto superiore e in questo 60% più dell’80% coinvolge la mano.
La mano è infatti maggiormente esposta, è l’organo più fragile e più specializzato e dunque i traumi che avvengono durante la pratica di questi sport possono causare lesioni a suo carico. A precisarlo è il dottor Giorgio Pivato, Responsabile del Centro di Chirurgia della mano in Humanitas Torino, ospite in studio a Motore Salute.
I traumi più comuni
Tra gli sport da combattimento c’è il pugilato, dove però le mani sono protette da bendaggio e guantoni e dunque i traumi più comuni in questo caso non sono le fratture, come avviene in chi combatte a mani nude, ma patologie da sovraccarico o che riguardano infiammazione di tendini o strappi muscolari.
Negli sport da combattimento che prevedono le prese, come il judo e il karate, diventano protagonisti i legamenti delle dita, strutture estremamente fini, che possono andare incontro per esempio a distorsioni. Spesso queste lesioni vengono sottovalutate, ma se non trattate in modo adeguato possono determinare rigidità, diminuzione del movimento, gonfiore residuo e dolore importante al sollevamento di pesi.
Come in tutti gli sport occorre poi distinguere le patologie che colpiscono il principiante da quelle che interessano il professionista perché se da un lato è vero che man mano che si impara la tecnica si riesce a prevenire una serie di lesioni, dall’altro lato all’aumentare del livello aumenta anche l’intensità dei colpi e quindi cambia il tipo di trauma. La tecnica nono è solo un valore aggiunto in termini di efficacia, ma anche strategia che insegna come proteggerci dai traumi.
Dai sistemi conservativi all’intervento chirurgico
Gli sportivi professionisti sono pazienti diversi dagli altri, per via dell’esigenza di tornare a praticare sport in fretta; inoltre le loro mani ricevono una sollecitazione differente rispetto a quelle di chi pratica altre professioni. Occorre trovare un giusto mix tra la correzione del problema che garantisca una buona guarigione e il ritorno alla pratica sportiva nel più breve tempo possibile.
All’intervento chirurgico si arriva quando i sistemi conservativi, come il gesso, non sono indicati oppure per ottenere in breve tempo una stabilizzazione e una perfetta riduzione della frattura con tempi di recupero molto più rapidi perché diminuisce la necessità di immobilità. Posizionare una placca per stabilizzare una frattura può essere inteso come una sorta di gesso interno; sappiamo bene che più manteniamo immobilizzato un segmento che deve muoversi, come la mano, e più si allungano i tempi di riabilitazione. Il posizionamento di un mezzo di sintesi, come appunto una placca, che mantiene in sede la frattura finché questa non guarisce in autonomia, permette la mobilizzazione molto più rapidamente riducendo i tempi della riabilitazione.
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