Tremore delle mani: non sempre si tratta del morbo di Parkinson


«Tremore delle mani? E’ sbagliato associarlo sempre alla malattia di Parkinson – spiega il dottor Walter Troni, neurologo della Clinica Fornaca -. In molti casi si tratta di una forma benigna non evolutiva che può essere affrontata con un’efficace terapia».

«Il tremore delle mani non deve far automaticamente pensare al morbo di Parkinson in quanto esistono forme benigne di tremore che non sono affatto preludio di tale malattia». Il dottor Walter Troni, neurologo della Clinica Fornaca, sgombra subito il campo da un pericoloso equivoco: «Nel vissuto quotidiano – spiega – il tremore viene catalogato come segno inequivocabile di un incipiente morbo di Parkinson. Nella realtà, spesso si tratta di un movimento involontario ritmico, oscillante delle mani e/o del capo, di natura benigna non evolutiva, le cui caratteristiche cliniche permettono quasi sempre di distinguerlo agevolmente dal tremore parkinsoniano».

In realtà, tutti noi tremiamo: «Un tremore fine delle mani, per quanto spesso difficile da oggettivare a causa della sua piccola ampiezza, è presente in tutti. Si tratta del tremore fisiologico, spesso avvertibile solo quando subentrano noti fattori di amplificazione, quali sforzo, fatica o emozione», prosegue il dottor Troni. Non è così rara la comparsa di un altro tremore con caratteristiche simili a quello fisiologico, scatenato dagli stessi fattori ma con intensità e ampiezza maggiori: «E’ il tremore essenziale – rivela il dottor Troni -: ha spesso carattere di familiarità e rappresenta l’unico disturbo motorio in pazienti che non diventeranno mai parkinsoniani». A differenza di quello parkinsoniano, il tremore essenziale è assente in condizioni di riposo: «Non c’è quando l’arto è rilasciato o appoggiato – specifica il dottor Troni – ma compare immediatamente quando il paziente compie un movimento volontario». Basta protendere le braccia in avanti per cogliere il tremore: «L’ampiezza può essere tale da ostacolare l’attività di vita quotidiana: portare il bicchiere o il cucchiaio alla bocca può diventare molto difficile e provocare un disagio sociale importante».

Pur non essendo una malattia evolutiva e degenerativa, il tremore essenziale mette spesso in imbarazzo chi ne soffre: «Anche perché essendo un’esagerazione di quello fisiologico ne accusa gli stessi fattori aggravanti e precipitanti: a disagio perché emozionato, in pubblico il paziente trema in maniera ancora più evidente». Tale tipo di tremore è spesso presente anche al capo, che si trova sempre in postura attiva e perciò adotta un movimento oscillatorio di stampo il più delle volte affermativo. Come si cura il tremore essenziale? «Si tratta di una condizione benigna che il più delle volte risulta assai lieve e che si accentua solo in condizioni particolari. In questi casi è meglio non fare nulla e semplicemente rendere edotto il paziente sulla benignità del disturbo, rassicurandolo che non è affetto da una malattia degenerativa», risponde il dottor Troni. «Ma se il tremore è tale da compromettere l’attività di vita quotidiana e danneggiare la qualità delle relazioni sociali si può ricorrere a una terapia farmacologica specifica che si fonda sull’impiego, tra gli altri, di farmaci beta-bloccanti che spesso, anche a dosaggi ridotti, riescono a controllare bene il tremore».

Sempre tremore d’azione, cioè tremore assente a riposo e innescato dal movimento, è il classico tremore cerebellare, caratteristico delle lesioni del cervelletto. «Il cervelletto è essenziale per la corretta esecuzione del movimento – precisa il dottor Troni – . Funziona come il comparatore di un servomeccanismo: riceve copia degli ordini impartiti dalle aree motorie ai vari distretti muscolari e riceve dai muscoli e dalle articolazioni una precisa informazione dei reali effetti indotti. Confrontando gli ordini centrali e gli effetti periferici è in grado di effettuare “on line” tutte le correzioni necessarie per far si che il movimento in atto corrisponda perfettamente allo scopo prefisso dalla volontà del soggetto». Quando il cervelletto leso smette di svolgere correttamente la sua funzione non si osserva nessun tremore a riposo, il tremore compare all’inizio del movimento ma aumenta progressivamente in ampiezza, raggiungendo l’apice quando il dito della mano si avvicina all’obiettivo: «Proprio nel momento in cui è necessaria la massima finezza nel controllo del movimento – descrive il dottor Troni -, il deficit si esalta e produce il tremore accentuato che spesso continua anche dopo che il dito ha raggiunto l’obiettivo».

Qual è il tremore veramente sospetto per una malattia di Parkinson?

A differenza dei precedenti si tratta di un tremore a riposo. «Esiste ed è ben visibile nell’arto rilasciato o appoggiato del paziente – conferma il dottor Troni -. Spesso ha un aspetto caratteristico: abbinando la flessio-estensione delle dita e il movimento ritmico di opposizione del pollice, ricorda il gesto di chi sta contando delle monete». Soprattutto, a differenza del tremore essenziale, l’uso dell’arto nel corso di un movimento finalizzato riduce nettamente l’ampiezza del tremore: «E’ difficile che il paziente parkinsoniano non riesca a portare il bicchiere o il cucchiaio alla bocca per effetto del tremore, la difficoltà deriva piuttosto dalla rigidità e dalla lentezza del movimento». Il tremore è presente a riposo ma non abbandona il paziente neanche quando cammina: «Proprio la camminata porta con sé altri sintomi molto chiari: avviene a piccoli passi con il tipico incurvamento in avanti del tronco (camptocormia) e la netta riduzione o completa perdita dei movimenti alternanti degli arti superiori che accompagnano la camminata normale, in un contesto di generale rallentamento (bradicinesia) di tutti i movimenti volontari».

Il tremore è quindi un fenomeno complesso che può assumere diverse forme di significato clinico ed essere generato da cause assai diverse: quando è opportuno rivolgersi al medico? «Quando il riscontro di tale problema su se stessi o su altri membri della propria famiglia causa disagio, ansia e il sospetto di essere in presenza da una malattia neurologica degenerativa quale il morbo di Parkinson», conclude il dottor Walter Troni.

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