«Si tratta di un tumore poco frequente che interessa circa il 2 per cento delle donne», spiega il professor Nicola Surico, esperto in Chirurgia ginecologica oncologica.«La presa in carico della paziente con carcinoma ovarico è multidisciplinare e prevede la gestione della malattia da parte di diverse figure specialistiche. Se eseguito in modo corretto, l’atto chirurgico influisce in modo importante sulla sopravvivenza a distanza».
Il professor Nicola Surico ha diretto per 25 anni la Clinica ostetrica e ginecologica dell’Azienda ospedaliero-universitaria “Maggiore della Carità” di Novara, città nella quale ha fondato la Scuola di specializzazione in Ginecologia e favorito la nascita di una serie di servizi (ambulatori specialistici su gravidanze a rischio e menopausa, Centro di diagnosi prenatale ed ecografia di secondo livello e Centro di procreazione medicalmente assistita) che hanno condotto Novara a diventare il secondo punto nascite di tutto il Piemonte. Esperto in Chirurgia ginecologica oncologica, specializzato nel trattamento dei tumori di ovaio, endometrio, portio, vulva, in Chirurgia senologica e in Chirurgia pelvica per la patologia benigna, il professor Surico mette al servizio della Clinica Fornaca tutta la sua competenza.
Professor Surico, i progressi farmacologici e chirurgici hanno migliorato la sopravvivenza delle pazienti affette da tumore all’ovaio, patologia però ancora gravata da un alto rischio di mortalità. Qual è la situazione attuale?
«Si tratta di un tumore poco frequente: interessa circa il 2 per cento delle donne, ma raggiunge percentuali più alte nelle donne portatrici di pattern mutazionali ereditari. Comprende un gruppo piuttosto eterogeneo di neoplasie e può essere suddiviso in tre categorie principali: i tumori benigni, che comprendono circa l’80 per cento dei casi; i tumori maligni, presenti nel 15-20 per cento dei casi e riguardanti nel 90 per cento dei casi donne di oltre 40 anni; i tumori borderline, riguardanti il 5-10 per cento del totale e caratterizzati da una malignità intermedia».
Qual è la prognosi delle donne che sviluppano un tumore maligno dell’ovaio?
«La sopravvivenza delle pazienti con tumori maligni dell’ovaio varia molto a seconda della caratteristiche della patologia, tuttavia il fattore prognostico più importante riguarda proprio la stadio della malattia: se il tumore è confinato all’ovaio, la sopravvivenza a cinque anni raggiunge il 90 per cento, mentre scende in modo sensibile negli stadi avanzati».
Circa due terzi dei tumori ovarici maligni vengono diagnosticati in fase avanzata. Come mai?
«Succede perché a oggi non si dispone ancora di uno screening o di procedure tali da permettere una diagnosi in stadio precoce. Esame clinico, ecografia transvaginale e determinazione del CA 125 (un marker tumorale) rappresentano le attuali metodiche diagnostiche, tuttavia nessuna di loro si dimostra affidabile nella diagnosi precoce della malattia. La presenza di una massa annessiale deve perciò, a prescindere dall’età della paziente, suggerire ulteriori approfondimenti diagnostici e, in caso di presenza di neoplasia maligna, condurre la paziente all’intervento chirurgico. Quest’ultimo risulta funzionale alla diagnosi e alla stadiazione del tumore perché permette di valutare con precisione l’estensione della malattia e di scegliere il miglior percorso diagnostico, terapeutico e assistenziale da offrire alla paziente».
Quale sarà il percorso di cura della donna sottoposta a intervento chirurgico?
«La presa in carico della donna con carcinoma ovarico è multidisciplinare e prevede l’integrazione e la gestione della malattia da parte di diverse figure specialistiche: ginecologo, oncologo, radiologo, chirurgo generale, radioterapista, anatomo-patologo, nutrizionista e psico-oncologo. Si tratta di un carcinoma piuttosto aggressivo, la presenza di più figure professionali permette la discussione e la possibilità di offrire alla donna il miglior razionale terapeutico possibile».
Perché la terapia chirurgica del carcinoma dell’ovaio riveste un ruolo tanto importante?
«Perché, oltre a permettere la stadiazione del tumore, può consentire la cosiddetta citoriduzione, vale a dire l’eradicazione della malattia macroscopicamente visibile. Le tecniche chirurgiche utilizzate prevedono, quando possibile, un primo tempo in laparoscopia per valutare l’estensione della malattia e una successiva laparotomia per ottenere l’asportazione radicale del tumore visibile. In caso di carcinoma ovarico avanzato, si può rendere necessaria l’asportazione di tratti dell’apparato gastrointestinale, della milza e del diaframma, spesso coinvolti nella malattia: ecco perché la presenza di più figure specialistiche assume un’importanza fondamentale».
E se il tumore viene giudicato “inoperabile”?
«La valutazione di inoperabilità va eseguita solo da Centri e medici esperti di Ginecologia oncologica, in grado di determinare un aumento della sopravvivenza e del tasso di citoriduzione primaria nelle pazienti con carcinoma ovarico. Se non è possibile ottenere una citoriduzione ottimale al primo intervento, la terapia chirurgica può essere utilizzata in un secondo tempo e dopo l’inizio del trattamento chemioterapico con l’obiettivo di ridurre la massa neoplastica per diminuire il rischio di complicanze perioperatorie e rendere possibile la radicalità chirurgica. In ogni caso, la chirurgia di prima istanza nel tumore dell’ovaio risulta oggi importantissima: se eseguito in modo corretto, l’atto chirurgico influisce sulla sopravvivenza a distanza delle pazienti».