Imaging come biomarker della risposta alle terapie tumorali? E’ questa la nuova sfida che attende la radiologia? Alla domanda ha provato a rispondere il Comitato scientifico della Fornaca, riunito lo scorso 9 novembre per ascoltare le parole di tre medici specialisti della Clinica Fornaca: il professor Giovanni Gandini, il professor Massimo Aglietta e il professor Umberto Vitolo. Con loro anche il dottor Filippo Marchisio, il dottor Riccardo Faletti e la dottoressa Caterina Chiara Bianchi, radiologi della Clinica Fornaca e della Città della salute e della scienza di Torino.
Introdotti dal professor Giovanni Succo, otorinolaringoiatra della Clinica Fornaca e direttore della Clinica Otorinolaringoiatrica degli ospedali San Luigi Gonzaga e Martini di Torino, i relatori si sono in primis soffermati sull’approccio multidisciplinare che deve caratterizzare il percorso del paziente colpito da tumore nonché sul ruolo decisivo che l’evoluzione della Diagnostica per immagini sta rivestendo in campo oncologico.
Il professor Giovanni Gandini, direttore del Dipartimento di diagnostica per immagini e radioterapia della Città della salute e della scienza di Torino, ha premesso come RM (Risonanza magnetica) e TC (Tomografia computerizzata) siano oggi le metodiche più utilizzate: «La prima ha una maggiore risoluzione anatomica e distingue meglio due tessuti simili tra loro, tipo la sostanza bianca e la sostanza grigia – ha ricordato -. La seconda vanta invece una maggiore risoluzione spaziale e distingue meglio due punti di differente densità vicini tra loro». Strumenti in continua evoluzione per consentire diagnosi migliori allo specialista e risultati più efficaci per il paziente: «Trent’anni fa la dose di una TC al torace era 150 volte superiore a quella di oggi», ha osservato il professor Gandini.
Al dottor Marchisio è toccato sottolineare la grande definizione oncologica di RM e TC: «Forniscono estrema oggettività nel quantificare i tumori», ha detto. Per poi richiamare i cosiddetti Recist (Criteri radiologici di valutazione della risposta alla terapia oncologica) che sono alla base del discorso comune tra radiologo e oncologo («Sono stati concepiti per incrementare l’oggettività tra gli osservatori nonché la comparazione delle metodiche radiologiche», ha aggiunto) e di ricordare come le apparecchiature radiologiche in dotazione alla Fornaca siano titolari di una forte riduzione delle dosi destinate al paziente. Sulla RM s’è soffermato il dottor Riccardo Faletti: «Di fronte alle metastasi di un tumore al colon inferiori a un centimetro – ha specificato -, la Risonanza magnetica è una metodica da prendere sempre in considerazione, anche perché l’introduzione di mezzi di contrasto epatospecifici l’ha resa ancora più sensibile». Senza altresì dimenticare come: «La tecnica di fusione rivesta un ruolo importantissimo nell’imaging oncologico». Dei tumori di testa e collo ha parlato la dottoressa Caterina Chiara Bianchi: «RM, TC e PET combinate all’esperienza del radiologo e alle altre informazioni cliniche possono rappresentare un utile biomarker», ha puntualizzato.
La voce prestigiosa dell’oncologo è stata quella del professor Massimo Aglietta, ordinario di Oncologia medica dell’Università di Torino e direttore della Divisione universitaria di Oncologia medica dell’Istituto per la ricerca sul cancro di Candiolo: «Quando parliamo di oncologia dobbiamo ricordarci una cosa essenziale – ha esordito -: tutti gli indicatori di attività si rivelano utili se hanno come obiettivo il paziente. La radiologia ci serve quando la risposta fornita ci aiuta a migliorare le terapie, la sopravvivenza, la qualità di vita e, talvolta, a ottenere la guarigione del paziente». Ma non sempre funziona: «In molti casi le risposte radiologiche non portano beneficio al paziente che non vede migliorare né qualità di vita né sopravvivenza, altre volte non c’è apparente risposta radiologica obiettiva ma riscontriamo un miglioramento nella sopravvivenza – ha proseguito -. E’ questo il “challenge” che ci attende e che per risultare vincente avrà bisogno dei migliori radiologi». Il professor Aglietta ha poi citato le terapie immunologiche: «Cellule immunocompetenti aggrediscono il tumore e possono condurre alla guarigione del paziente – ha concluso -, si tratta di tecniche sofisticate che richiedono il lavoro quotidiano di oncologi e radiologi, da seguire con la giusta dose di umiltà tenendo a mente che l’obiettivo non è soltanto la malattia bensì l’outcome globale per il paziente».
Di linfomi ha infine parlato il professor Umberto Vitolo, direttore della Struttura complessa di Ematologia della Città della salute e della scienza di Torino e presidente della Fondazione italiana linfomi. «La PET (Tomografia a emissione di positroni) è sicuramente lo strumento preferito nelle predizioni dei linfomi – ha ricordato – e va accompagnata con una TC per un’accurata misurazione della malattia La PET ci dice dov’è localizzata la malattia ma per conoscere la sua distribuzione dal punto di vista morfologico dobbiamo abbinarci la TC». La stessa PET scongiura invece il ricorso alla biopsia del midollo: «Vale soprattutto per chi ha un linfoma di Hodgkin – ha specificato il professor Vitolo -, spesso si tratta di pazienti giovani e a loro viene in questo modo risparmiato un esame invasivo». Combinare perciò in modo adeguato i diversi esami diagnostici (RM, TC e PET) per risparmiare al paziente dosi superflue di raggi e limitare i costi che queste tecniche comportano rappresenta una delle altre sfide che riguardano il lavoro congiunto di radiologi e oncologi. A uno di loro, il professor Umberto Veronesi, deceduto ventiquattr’ore prima nella sua casa di Milano. Il Comitato scientifico della Clinica Fornaca ha dedicato un commosso ricordo e un sincero applauso.